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Contemporary Age

NEL SAHARA SI FA DEL NUOVO CON DEL VECCHIO RIUTILIZZO DI OGGETTI PREISTORICI NELL”ARTIGIANATO

Il testo è tratto dalla conferenza organizzata dal Centro Studi Archeologia Africana presso il Museo Civico di Storia Naturale di Milano, il 4 maggio 1993.  ARCHEOLOGIA AFRICANA – Saggi occasionali 1995-1

Résumé
La récupération et la réutilisation du matériel ancien est une pratique de tous les temps et de tous les pays, mais au Sahara cette pratique atteint une importance surprenante. La raison en est assez simple. Le Sahara et ses abords immédiats sont des régions très pauvres et ses habitants sont démunis de presque tout. Surtout le matériel ancien n”est pas protégé par un couvert végétal, il est exposé à l”air et visible de loin.
Tout objet préhistorique peut être réutilisé soit dans ses fonctions premières tels les éléments de parure activement recherchés par les nomades et même parfois les pointes deflèches en silex soit à des fins bien différentes de l”utilité première. Les exemples en sont très nombreux. Quelques uns sont cités dans cet article.

Abstract
Recovery and re-use of ancient objects is a practice diffused in every time and in every country, but it has an astonishing importance in the Sahara. There is a very simple reason for this fact. The Sahara and its near boundaries are very poor regions and its inhabitants are lacking in almost everything. Moreover, ancient material is not hidden by a vegetable covering, but it is exposed to view and visible from distance.
All the prehistorical objects may be, on one hand, re-used in their original function, as, for instance, decorative objects which are actively searched by nomads and sometimes points of arrow made of silica. On the other hand, they can be re-used for purposes quite different from the original one. There is a number of examples, which can be described, of this kind of re-use of ancient objects in this region. Some of these examples are mentioned in this article.

[nggallery id=26]La storia che vi narro mi è stata raccontata da un commerciante che ha vissuto quasi quarant”anni in Africa, a Niamey, in Niger. Questa storia sarebbe quasi banale se non presentasse un dettaglio del tutto particolare.
”Un giorno all”ospedale di Niamey arriva un ferito. E” un fatto banale, ma, dalla ferita il chirurgo estrae una punta di freccia, cosa non molto frequente ai giorni nostri, neanche in Africa. Poco più tardi arriva un altro uomo che presenta una ferita analoga. Le spiegazioni che i due forniscono sono poco chiare. Non sanno, non capiscono, non hanno visto nulla… E”successo mentre stavano passeggiando di notte. Tutto ciò è molto strano. Una decina di giorni più tardi arriva un altro ferito; la causa della ferita è, anche in questo caso, una freccia. Tuttavia, mentre i primi due erano stati colpiti da punte metalliche, questa volta viene estratta una punta in selee scheggiata anticamente con molta cura, evidentemente neolitica, insomma, un pezzo da collezione (fig. 1).

Dopo avere effettuato le indagini del caso, la polizia scopre il motivo di queste strane ferite che sembrano appartenere ad un”altra epoca. Una ditta europea di costruzioni, con un deposito alla periferia della città, ha assunto un guardiano al quale sono state impartite istruzioni molto precise riguardo alle ore di presenza e al metodo di sorveglianza. In particolare gli è stato dato l”ordine tassativo di non custodire né usare in nessun caso armi da fuoco. Il guardiano, un vecchio militare dell”etnia bambara, è un tipo rigoroso che osserva alla lettera gli ordini impartitigli. Perciò, al posto di un fucile o di una pistola, utilizza un arco. Dopo aver scoccato le poche frecce in suo possesso, invece di rivolgersi a un fabbro, ha riutilizzato punte di freccia neolitiche che si trovano in abbondanza nella regione e non costano niente!”
Questo singolare aneddoto non è che uno dei molteplici esempi di riutilizzo di materiale preistorico.

In Europa, alcuni dolmen furono impiegati in epoche successive come materiale edile e la stessa sorte accadde ad innumerevoli monumenti greci e romani che vennero riciclati per la costruzione dei bastioni di alcune città medievali. In Europa, però, le antiche vestigia sono relativamente protette, non tanto da leggi quanto piuttosto dal folto manto vegetale che spesso le ricopre. Occorre quindi andarle a cercare e per riportarle alla luce si devono effettuare degli scavi.
In Africa – in particolare nella fascia desertica sahariana e nel Sahel – i manufatti giacciono al suolo e sono ben evidenti, cosicché basta chinarsi e raccoglierli . Le selci preistoriche possono essere raccolte a tonnellate come nella località di Tiffarassen, toponimo che, nella lingua tamasheq dei nomadi Iwllimeden, significa ”scheggia di selce”. Le macine dormienti, in ragione del loro volume e del loro peso, difficilmente vengono raccolte, invece quelle trasportabili, più piccole e leggere, così come i pilons, oggi sono rinvenibili soltanto lontano dalle piste. Nel Sahara, Paese particolarmente scarso di risorse, qualunque oggetto può essere riutilizzato.

Così, ad esempio, un morsetto a vite in bronzo di una pompa per l”acqua può diventare un anello da braccio e un bar-ristorante come quello che si incontra all”ingresso nord delle gole di Arak (Ahaggar, Algeria) può essere interamente costruito con materiali di recupero di varia provenienza. Il riutilizzo non deve per forza implicare manufatti preistorici .
Sulla Transahariana n° 2 del Tanezrouft, che, a causa delle profonde buche, può risultare molto pericolosa e quindi necessita di chiare segnalazioni, sono stati impiantati dei lampioni ad energia solare. Fino a non molto tempo fa vi erano solo balises in pietra: piccoli cumuli piramidali alti circa un metro . Le pietre sono frequenti nel Sahara, tuttavia in alcune zone sabbiose o ghiaiose è necessario percorrere lunghi tratti prima di trovarle, come per esempio nello wadi vicino a Bouressa, nell”Adrar degli Ifoghas o nella piana sabbiosa che si estende ai piedi dei monti Hombori, nel Gourma.

Nel Tanezrouft, che è un immenso reg, non ci sono né pietre né sassi e i pezzettini di ghiaia più grossi hanno al massimo la dimensione di una mandorla. Perciò le balises vengono costruite con tutto ciò che è reperibile al momento: picchetti, vecchi fusti di benzina o pneumatici inutilizzabili. Se per caso nelle vicinanze c”è un giacimento preistorico è sicuramente da qui che sono stati attinti i materiali per la costruzione delle balises.

Un mio conoscente, che ha lavorato presso la società Mer Niger, mi ha raccontato di aver impiegato delle macine neolitiche e dei bifacciali acheuleani per la costruzione di balises nell”area di Bordj le Prieur.
Con un cugino che ha lavorato a lungo in Mali e che si è sempre interessato all”archeologia sahariana, mi recai in un sito neolitico ad un centinaio di chilometri a nord di Gao, in una zona frequentata, a nostra conoscenza, solo da militari e da nomadi. Qui non c”erano né asce levigate o scheggiate, né macine o macinelli, né pestelli o pilons, né alcun oggetto di quelli che abitualmente si ritrovano in tutti i giacimenti preistorici.

Si poteva supporre che dei militari, o forse qualche occasionale mercante-viaggiatore li avesse raccolti. Tuttavia non c”era neanche la minima traccia di oggetti di una certa dimensione e nemmeno dei frammenti di macine, che di solito non interessano a nessuno, né tanto meno utensili rotti o grosse schegge di selce. Tutto ciò ci sembrò davvero molto strano e solo più tardi trovammo la spiegazione. Il giacimento era stato letteralmente rastrellato per raccogliere tutto il materiale di una certa dimensione che era poi stato utilizzato, insieme al cemento, per costruire le fondamenta di un pozzo ad energia eolica. La base del pozzo di Kassembere è quindi costituita da manufatti neolitici di una certa dimensione provenienti dal giacimento in questione, mentre tutto il materiale di piccole dimensioni giace ancora in situ. Nel settore dell”edilizia questo non è un fatto nuovo. Nella Saoura, vicino a Tsabit , il fatiscente ksar dei jnun (fortezza degli spiriti) è costruito con argilla, sabbia e tutto il materiale in selce di un giacimento neolitico vicino, che purtroppo non ci è stato possibile individuare; potrebbe anche darsi che tutto il materiale sia finito nelle mura di questa antica fortezza, poiché, a tratti, la superficie delle mura presenta piccole schegge in selce e materiale diverso dove prevalgono i geometrici, perforatori, microbulini e armature di punte di freccia.

Comunque la maggior parte dei maufatti preistorici non è da ricercare nelle costruzioni, siano esse antiche o recenti, ma soprattutto nei mercati e nei cimiteri. Nel primo caso troviamo, in particolare, gli oggetti di ornamento, quelli che piacciono molto alle donne africane che li usano permanentemente. Un esempio ci viene fornito dalle acconciature songhay di Gao (fig. 3), costituite da monete di bronzo, da conchiglie e da perline. Per perline si intendono grani di ogni sorta: legno, plastica, guscio di conchiglia o di uova di struzzo, vetro, otoliti di pesce, e altri materiali ancora. In Africa occidentale le perline sono oggetto di un importante settore del commercio. Basta passeggiare nei mercati di Niamey, Gao, Tombuctù, Mopti o Bamako per rendersene conto. Al mercato degli ortaggi di Gao il commercio delle perline occupa un posto di rilievo.

Un solo e semplice bracciale può averne anche 2500, così come un”acconciatura songhay ne può vantare ancora di più. Esiste una grande varietà di perline di vetro. Alcune sono antiche e furono portate in Africa, in un primo tempo, da commercianti olandesi ed arabi, in seguito dai portoghesi ed infine da commercianti provenienti da ogni dove. La maggior parte è di fabbricazione europea, in particolare italiana, ma non è sempre facile sapere se queste perline di vetro siano di recente produzione o se invece siano antiche. Alcune perline sono di produzione africana, come quelle prodotte in Ghana. Spesso capita di trovare in una sola collana un miscuglio di perline di diversa età e provenienza. Difficile è attribuire con certezza l”origine geografica; più semplice, invece, è comprendere se si tratti di perline di scavo o di perline di più recente produzione. In buona parte si tratta di perline di recupero provenienti da siti antichi ed alcune tra queste sono ricercatissime, come quelle di pasta di vetro blu; curiosamente alcune raggiungono quotazioni molto elevate.

Si racconta che una perla di vetro con inclusione geometrica fu comprata per la colossale somma di 1000 dollari. L”acquirente veniva dalla Nigeria. La questione delle perline di vetro è talmente vasta che occorrerebbero molti libri per trattarla in modo più esauriente.
Accanto alle perline di vetro si trovano perline in pietra dura, come quelle in quarzo, quarzite, cornalina e agata. A lungo si è ritenuto che la produzione di ornamenti in pietra dura in Africa occidentale fosse iniziata molto tardi, tanto che le parole ”corniola” o ”agata” presupponevano sempre un”origine orientale e indiana.

Nel 1939 Henri Lhote scoprì, nel distretto di Gangaber, a settentrione dell”ansa del Niger, un atelier di perline neolitiche in quarzo. Da questa data in poi sono stati rinvenuti tanti ateliers neolitici dello stesso tipo. Noi ne abbiamo ritrovati una decina di cui tre nella stessa regione, altri nello wadi Ichawan, tra Lagreich e Karkarichinkat sud ed altri ancora tra Menaka e Telataye, in territorio iwllimeden. In questi giacimenti risalenti al Neolitico venivano lavorati tre tipi di perline.

Il primo è una perlina cilindrica o sferica, leggermente appiattita. Le perle di questo tipo provenienti da Gangaber sono in quarzite o quarzo leggermente rosato. La caratteristica peculiare di queste perline è la tecnica di perforazione, ottenuta unicamente mediante percussione su entrambi i lati, così che il foro risulta biconico e con pareti irregolari e ”tormentate”.
Al secondo tipo appartiene la perlina di Taguelalt che presenta una perforazione del tutto particolare, ottenuta unicamente mediante abrasione. Perciò il foro risulta un canale perfettamente rettilineo e cilindrico con pareti molto ben levigate. Un ulteriore accorgimento tecnico ha permesso di abbreviare l”operazione. Quando non rimanevano che 2-3 mm da perforare, l”artigiano staccava la parte non perforata con un colpo secco dato sull”asta del perforatore. Ne risultavano così delle piccole schegge del tutto particolari e significative.

Al terzo tipo appartiene la perlina di Telataye. Mentre per le precedenti la bellezza è data dalla levigatura, nella perlina di Telataye l”estetica deriva dal taglio, esattamente come per i diamanti. Si tratta di perline circolari, appiattite e finemente scheggiate sulle due facce. Anche in questo caso la perforazione è ottenuta per percussione. Sono quasi sempre perline in corniola, ma ne esistono anche di quarzo e in diaspro. Tutti e tre i tipi sono reperibili nei mercati. A portarvele sono sia i bambini che le raccolgono nella brousse, sia gli adulti che le vanno a cercare nelle sepolture o in piccoli nascondigli. E” probabile che queste perline fossero, un tempo, moneta di scambio, come più tardi lo divennero i lingotti metallici, i cauri, i talleri di Maria Teresa d”Austria e, oggigiorno, la cartamoneta. Contrariamente a quanto si pensa, i più interessati a questo tipo di perline neolitiche non sono i turisti, ma i nomadi. I gioielli tradizionali dei nomadi di questa regione sono la khomeïssa, la chiave da velo, e i bracciali in argento.

Tuttavia accade che sovente nel laccio in cui è infilata la khomeïssa vengano infilate anche delle perline di vetro e quasi sempre anche due o tre perline in corniola vecchie di 3000-4000 anni! Le perle in pietra dura suscitano una tale attrazione che le donne non le acquistano a manciate, come accade invece per le perline di vetro o di plastica, ma singolarmente. Anche i ciondoli fanno parte del corredo ornamentale ed è possibile vederli nei mercati. Alcuni sono moderni e provengono dal Medio Oriente oppure dall”Idar Oberstein, ma la maggior parte viene recuperata nei siti neolitici o medievali. I pendenti antichi hanno svariate forme e sono di diversa natura.
E” invece molto più difficile dare affermazioni in merito agli anelli da braccio che gli uomini portano sopra il gomito. Spesso è impossibile riuscire a distinguere quelli antichi da quelli di recente fabbricazione, perché anelli dello stesso tipo vengono prodotti ancor oggi con l”impiego degli stessi materiali e molto probabilmente anche delle stesse tecniche, come accade, ad esempio, ad Hombori, nel Gourma. Non si tratta sempre di anelli da braccio, spesso si tratta invece di pesi per i bastoni da scavo, di fusaiole e qualche volta anche di ciondoli.

Tuttavia non soltanto gli oggetti di ornamento ritrovano la loro funzione primaria. Lo stesso accade anche con alcuni oggetti d”uso, come ad esempio le macine. Nel 1962 Padre Prost, uno specialista della lingua songhay, mi conduce a Gorom-Gorom, un”isoletta sul fiume Niger occupata da artigiane-vasaie. Qui scorgo una donna intenta a macinare dell”ocra rossa su una macina apparentemente molto antica. Alla domanda ”dove vengono fatte queste macine e dove è possibile acquistarle”, la donna risponde senza indugi che ”gli uomini le trovano così, per terra, le raccolgono e ce le portano”. Un”altra volta, mentre stavamo compiendo delle prospezioni nella zona di Lagreich, passando accanto ad un giacimento neolitico, il nostro amico songhay raccoglie una bella macina , la esamina attentamente in tutti i dettagli e poi la ripone con cura insieme ai suoi effetti personali, usando mille precauzioni. Di fronte al nostro malcelato stupore spiega che serve ad una delle sue tre mogli.

Non sempre però macine e pestelli finiscono per essere riutilizzati nella giusta maniera, spesso vanno a finire nei cimiteri. Percorrendo il Sahara non è affatto raro incontrare tombe isolate o intere necropoli. A nord queste – non mi riferisco a tombe cristiane – sono circondate da oggetti di ceramica o addirittura da scatolame. A settentrione dell”ansa del Niger ed in particolare nel Tilemsi e dintorni, ritroviamo manufatti levigati preistorici nei cimiteri dei nomadi e nelle sepolture islamiche isolate. Il cimitero più ricco in questo senso è quello dei Kel Takerennat, a una ventina di chilometri a sud di Anefis. Fu scoperto nel 1912 dal capitano Maurice Cortier che qui raccolse molte macine e dedicò a questo argomento parecchie pagine nelle sue relazioni.

Da quel momento sono numerosi i militari e i turisti che vi si sono recati con il preciso intento di prendere delle macine, tuttavia questa necropoli resta sempre ed ancora un”inesauribile miniera preistorica. Quasi tutte le tombe sono delimitate da blocchi di roccia e al posto della testa vi è una macina conficcata verticalmente nel terreno a guisa di lapide, mentre altri manufatti preistorici meno voluminosi sono disposti all”altra estremità. Poco lontano da questi cimiteri si incontrano piccoli insiemi di manufatti levigati. Non hanno più nulla di sacro né di rituale: è soltanto quello che resta dopo che un collezionista li ha passati al vaglio, asportando i manufatti ritenuti più belli. Questi cimiteri sono numerosi nel basso Tilemsi, ma non è raro incontrarne anche nell”Azaouad, a sud di Timetrine e sulle sponde del fiume Niger. Uno dei cimiteri più importanti è situato vicino a Tondibi, non lontano dal posto dove il pascià Djouder avrebbe dichiarato battaglia alle truppe dell” Askia nel 1591. Un tipo particolare di pietre tombali è costituito dalle lapidi epigrafiche.

Le più conosciute sono ovviamente quelle della necropoli reale di Gao-Sané, incise su lastre naturali di cloritoscisto. Accanto a queste si trovano anche delle stele epigrafiche su macine neolitiche che forniscono un ulteriore esempio di fantasioso riutilizzo dei manufatti preistorici: la maggior parte risale al XVII – XVIII secolo. Una stele epigrafica su macina neolitica particolarmente ben conservata (fig. 9) è stata rinvenuta in una sepoltura nomade in prossimità di Tigueroui, poco distante da Tabankort (Tilemsi). Fu incisa da un Kel-es-Souk e riguarda Mohamed el Beshir Ben Mohamed Ben Aguil, deceduto nel 1128 dopo l”Egira, intorno al 1715 d.C.
A lungo sono stato incuriosito da un”ascia neolitica di forma piuttosto banale, ma che presentava su ognuna delle sue facce due insolite cuppelle, molto simili tra loro, regolari e poco profonde, che non potevano essere state causate né da un incidente, né tanto meno da un difetto della roccia (fig. 10). Un bel giorno, trovandomi a Gourma Rarhous, mi recai nel quartiere dei fabbri proprio mentre uno di essi era intento a cesellare un lucchetto secondo la tradizione tamasheq. Mentre stavamo chiacchierando in francese, ebbi modo di osservarlo lavorare.

Come martello utilizzava un”ascia di pietra assolutamente simile alla mia e che presentava le stesse cuppelle. La teneva in mano un po” dal lato del tagliente e un po” da quello del tallone, alternando la presa e utilizzando, in tal modo, indifferentemente l”una e l”altra faccia. Quando gli proposi di comperargli l”ascia o di scambiarla con un martello d”acciaio, non ne volle sapere e mi spiegò di possedere già più di un martello d”acciaio, ma che per questo tipo di lavoro l”unico arnese che gli occorreva era un”ascia di pietra. Tenne, inoltre, a precisare che non se ne trovavano molte nelle immediate vicinanze, perciò, solo se io gliene avessi procurata una, lui mi avrebbe ceduto la sua. Non sono mai ritornato a Gourma Rarhous. Raymond Mauny mi ha raccontato una storia più o meno simile, accadutagli in Senegal, dove aveva visto un fabbro che si serviva esclusivamente di manufatti preistorici per eseguire determinati lavori.

Altra utilizzazione moderna delle asce neolitiche, a condizione che siano in selce, è la pietra focaia. Le prime volte che mi recai nel Tilemsi, oltre trent”anni fa, gli Chamanamasses utilizzavano solo questo arnese per accendere il fuoco. In tutti i mercati era quindi possibile trovare degli ”accendini” fatti da una piccola lama d”acciaio ripiegato alle due estremità (acciarino) e da una piccola ascia di selce, quale indispensabile complemento (fig. 11). Perché proprio un”ascia antica quando qualunque scheggia di selce avrebbe potuto servire allo stesso scopo? Posi la domanda ad un mercante che conoscevo bene, aspettandomi come spiegazione un miscuglio di fuoco divino e di proprietà magiche e soprannaturali in relazione a questa roccia che, un tempo molto lontano, doveva essere caduta dal cielo. La sua spiegazione fu ben diversa: ”Usiamo queste asce perché i loro bordi, che non sono più taglienti, non rovinano le tasche e poi non sono costose” e me ne regalò una. Penso proprio che dicesse la verità.

Un altro aneddoto. Vicino alla grande mare di Gossi incontrai un cacciatore con un vecchio fucile, di cui andava molto fiero. Uno di quei fucili denominati ”di tratta”, perché tempo fa venivano utilizzati per il commercio. La selce con cui il cane del fucile era armato, sembrava molto usata ed era quindi impossibile sapere quando era stata scheggiata. Non ne parlerei se non sapessi che nell”alto Tilemsi c”è un giacimento neolitico, situato su un”altura poco elevata, che i nomadi chiamano Nilkit Mich, che in tamasheq significa la ”duna delle pietre per fucili”. Attraversando il Gourma incontriamo un pastore dell”etnia bella con un arco e una freccia armata con una punta in selce, probabilmente antica. Henri Jean Hugot mi ha raccontato di aver trovato nella regione di Hassi Messaoud una cicogna ferita, nella cui ala era conficcata una punta di freccia in selce neolitica.

Anche la ceramica antica può essere oggetto di riutilizzo. Prima di tutto le perline in ceramica segmentata che si trovano in gran quantità nella regione di Tingorno, sulla riva destra del fiume Niger, di fronte a Labezzenga. E” possibile anche trovare ancora dei vasi in ceramica completamente integri, pur essendo questo un materiale assai fragile. Poco dopo l”ultima guerra, durante gli scavi condotti dall”Abate Lavocat a nord di Tessalit nel reg di Zaki, nella vasta necropoli neolitica con mura di cinta e tumuli, vengono riportati alla luce due scheletri. Qualche tempo dopo, un capo-cantiere della società Mer Niger, incuriosito da queste strutture e dai lavori dell”Abate Lavocat, decide di scavare con il bulldozer una trincea lunga circa cinquanta metri e profonda uno, proprio nel bel mezzo della necropoli e riporta alla luce dei vasi intatti. Gli operai presenti allo scavo se li portano via, perché servono per cuocere il miglio e il riso. Il vaso meno bello e con un foro – perciò inutilizzabile – viene regalato al signor Fabre, direttore della Mer Niger, che, a sua volta, conoscendo i miei interessi, me lo offre(fig 13).

Anche le antiche giare funerarie che talvolta vengono scoperte ad una certa profondità nella regione di Gao, sono oggetto di riutilizzo. Esaminandone una, abbiamo trovato dei frammenti ossei umani in pessimo stato, un piccolo vaso ad ingobbio rosso e una piccola ascia levigata. Quando queste giare vengono ritrovate in perfetto stato di conservazione possono essere impiegate come silos per le granaglie, del tutto simili a quelli che si incontrano sulla sponda sinistra del Niger, fra Labezenga e Tillabery.
In molte zone dell”Africa occidentale, dal Niger fino al Ghana, la ceramica non viene lavorata al tornio né con la tecnica dello stampo, bensì mediante martellatura. A questo scopo viene utilizzato un tampone, spesso in ceramica. In un documentario girato da un amico direttore delle dogane in Mali e successivamente nell”ex Dahomey, ho visto un vasaio che lavorava la ceramica impiegando, al posto dei tamponi, delle bolas preistoriche. Per concludere, desidero citare un aneddoto tratto dal mio primo viaggio nel Tilemsi. A quel tempo c”era ancora molta selvaggina: antilopi, struzzi, giraffe, facoceri, gazzelle ed anche leoni. Una sera, per la nostra cena, uccidiamo una gazzella. La guida si precipita sull”animale ancora in vita per sgozzarlo secondo il rito musulmano, ma non gli riesce di trovare un coltello. La disperazione si legge sul suo viso: musulmano rigoroso pensa già di doversi aprire una scatola di sardine, mentre noi mangeremo la carne di gazzella. Poi ricorda improvvisamente di avere visto, dentro l”automobile, un bifacciale acheuleano. Si precipita a prenderlo e, anche se con molta fatica, riesce a sgozzare l”animale secondo il rito!

Il testo è tratto dalla conferenza organizzata dal Centro Studi Archeologia Africana presso il Museo Civico di Storia Naturale di Milano, il 4 maggio 1993.
ARCHEOLOGIA AFRICANA – Saggi occasionali 1995-1

(JEAN GAUSSEN)

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78 comments for “NEL SAHARA SI FA DEL NUOVO CON DEL VECCHIO RIUTILIZZO DI OGGETTI PREISTORICI NELL”ARTIGIANATO”

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