Premessa
Trattando della spiritualità funeraria inevitabilmente si percepisce il senso dell’aldilà, il mondo più lontano che l’essere umano abbia mai tentato di elaborare. Nelle varie risposte date al post morte c’è il filo conduttore delle ideologie funerarie di ogni tempo e luogo, sempre legate al desiderio di permanenza, continuità, conservazione del corpo e dell’anima. L’inumazione ne è il segno più tangibile e antico. Dalle scoperte archeologiche risulta che tali preoccupazioni risalgono già al Paleolitico medio (per quanto ne sappiamo oggi) ma qui vengono esaminate le sepolture del Paleolitico superiore e, più dettagliatamente, quelle scoperte in Puglia. Queste ultime sono simili alle altre ma presentano anche una gamma di particolarità di interesse paletnologico e in particolare un feto gravettiano ancora nel grembo di una mamma sepolta “in pompa magna” quando era in avanzata gravidanza.
pdf estratto da Ipogei, quaderni dell’IISS “S. Staffa” di Trinitapoli, Dicembre 2006, n.1, pp. 83-92
[nggallery id=62]Coordinate funerarie del Paleolitico medio e superiore
Secondo i ritrovamenti il primo tipo umano che ha seppellito i morti, accompagnandoli con dei gesti rituali, è stato il Neanderthal. Sono attestate, infatti, numerose e particolari attenzioni alle sepolture musteriane (Paleolitico medio) localizzate in quelle grotte non abitate. I corpi erano adagiati entro una fossa scavata appositamente, talvolta ricoperta da una lastra (come a La Ferrassie), deposti rannicchiati in posizione dormiente e accompagnati da strumenti in selce, molto probabilmente deposti accanto al morto con l’idea di essere usati in un’altra vita.
Sono state individuate anche porzioni di animali macellati, lasciate in segno di offerta o scorta di cibo funerario, mentre in una sepoltura a Shanidar sono emersi persino resti pollinei attribuiti dallo scopritore (Ralph Solecki) ad uno strato di fiori adagiati sulla sepoltura. Le deposizioni più note di questo periodo in Europa sono in Francia a La Chapelle-aux-Saints, Le Moustier, La Ferrassie; e nel Vicino Oriente sul Monte Carmelo (fig. 1), a Nazaret (Israele) e appunto a Shanidar (Iran).
In Italia non sono state scoperte ancora importanti deposizioni neandertaliane, abbiamo però un caso singolare di probabile cannibalismo rituale legato al famoso cranio trovato dal Blanc nella Grotta Guattari sul Monte Circeo. In Puglia i soli resti neandertaliani di incerto contesto funerario, sono due denti infantili recuperati a Grotta del Cavallo e a Grotta del Bambino (in provincia di Lecce), ed una porzione di femore recuperata a Grotta S. Croce di Bisceglie (in provincia di Bari).
Differente è la situazione per il Paleolitico superiore. Ai più rari esempi neandertaliani si aggiungono le numerosissime inumazioni dell’ Homo Sapiens Sapiens, distribuite un po’ in tutti luoghi dov’è stata riscontrata la sua presenza. I riti funerari e le pratiche che accompagnavano la deposizione divengono più complesse e differenziate. Il tipo umano è naturalmente il Cro-magnon. La maggiore quantità di ritrovamenti permette di tracciare numerosi dettagli: sugli ornamenti, costantemente presenti sul corpo del defunto, sempre addobbato da copricapi, collane, cavigliere, bracciali e amuleti; sulla posizione del corpo, che varia rispetto a quella dormiente predominante nel Paleolitico medio; sulla struttura della fossa che si arricchisce spesso di un letto di ocra (ematite) ed una sorta di cuscino di pietra per il capo; e sulla diversità degli elementi di corredo, sempre di pregiata fattura.
Ognuno di questi fattori si moltiplica di numero ed incidenza rispetto alle abitudini del Neanderthal, aumenta anche il numero delle deposizioni bisome (doppie) o multiple con adulti di sesso diverso (come in Puglia a Grotta delle Veneri) o anche di un adulto e di un adolescente (come in Liguria ai Balzi Rossi). Talvolta la posizione degli scheletri ha rivelato defunti abbracciati.
Questi ritrovamenti implicano degli interrogativi sulle dinamiche, sui tempi di sepoltura e sui decessi, fattori che non sempre possono essere stati contemporanei, lo stesso sulla deposizione secondaria o del cosiddetto sacrificio della vedova; per esempio gli inumati del Riparo del Romito, a Cosenza, scoperti da P. Graziosi (Brizzi, 1977). Aumentano anche le testimonianze della conservazione di parti del corpo del defunto (denti e mandibole) che erano, con ogni probabilità, appesi da qualche parte nella grotta forse in concomitanza di culto degli antenati. Nella grotta del Placard è stato individuato un cranio femminile isolato e circondato da conchiglie, più altre cinque calotte craniche trasformate in coppe (Broglio, Kozlowski, 1986).
Le sepolture del Paleolitico superiore hanno parecchie caratteristiche comuni, la scelta delle grotte come per inumare, il rituale di sepoltura e gli ornamenti personali che, ripetendosi, suggeriscono alcuni dati sulla moda dell’epoca. Un elemento essenziale che caratterizza la spiritualità ed il simbolismo funerario dei cro-magnon è la grande profusione di ocra rossa. Si è appurato che il defunto poteva essere disteso su un intero letto di ocra o anche esserne cosparso completamente; in altri casi l’ocra era usata solo su alcune parti del corpo, preferenzialmente il capo, oppure si aggiungevano al corredo dei ciottoli dipinti con questa sostanza. In numerosi casi, il capo era stato sicuramente macchiato di rosso. E’ probabile che il rosso, simile al sangue, simboleggiasse la forza vivificatrice di prezioso liquido vitale.
Nel Paleolitico superiore l’ocra o anche ematite (ossido di ferro) fu anche oggetto di commercio. Insieme alla selce ed alle conchiglie fu materia preziosa e ricercata importata da notevoli distanze. La sua estrazione in miniera è confermata per il Maddaleniano tardivo e per i complessi epipaleolitici della Polonia (Broglio, Kozlowski, 1986). Il sesquiossido idrato di ferro è uno dei principali minerali da cui si estrae il ferro ma anche quello che produce la limonite di colore giallo. La limonite cuocendola diventa rossa, infatti andava a sopperire l’ocra dove mancava. I due colori fondamentali, rosso e giallo, e tutte le loro sfumature, sono stati largamente impiegati soprattutto nelle pitture parietali.
Le principali sepolture della nostra penisola si concentrano essenzialmente in Liguria: ai Balzi Rossi e alle Arene Candide. In Puglia sono nelle grotte di Paglicci, Veneri, S. Maria di Agnano e Grotta delle Mura. Tutte, da nord a sud, presentano comuni denominatori rituali. Nella sepoltura gravettiana bisoma dei Balzi Rossi (Grotta dei Fanciulli) i corpi di un adolescente ed una donna adulta, furono rannicchiati l’uno vicino all’altra; avevano ornamenti di conchiglie e tracce di ocra (fig. 2). In uno strato superiore, un altro individuo cosparso di ocra era disteso supino con le braccia ripiegate sul petto e la testa appoggiata su un masso.
Dagli strati superiori epigravettiani venne in luce un’altra sepoltura
bisoma di due bambini, deposti supini e ricoperti da ornamenti di conchiglie forate che ricoprivano la zona dei fianchi, forse a formare un perizoma. Alle Arene Candide è stata trovata una delle più integre sepolture dell’epoca, appartenente ad un giovane il cui corredo ha riportato sia una bella lama di selce (tenuta ancora nella mano) che quattro bastoni forati di corno d’alce, interpretati come raddrizzatori di frecce (fig. 3). La testa era ornata da una cuffia di conchiglie, mentre il fondo della fossa e la superficie del corpo erano stati ricoperti della “magica” sostanza rossa. Alla Barma Grande, sempre ai Balzi Rossi, è stata scoperta una sepoltura trisoma con un maschio adulto, una giovane donna ed un adolescente, anche qui corredi di conchiglie ed ocra completavano l’inumazione.
Un caso di notevole presenza di ocra l’abbiamo in Sicilia, dove sui resti scheletrici della Grotta di San Teodoro è stato individuato uno strato di 5 cm.. Qui è anche stata riscontrata un’altra abitudine attestata altrove, ossia quella di deporre sugli arti dei defunti pietre pesanti, forse per rispondere a qualche oscura credenza sul possibile movimento del morto. Ad una credenza simile può corrispondere l’abitudine di seppellire il morto legato e in posizione fortemente contratta, con le ginocchia che toccano il mento, come nel caso dell’uomo di Chancelade in Dordogna (Vigliardi, 1992).
Talvolta, oltre all’associazione dell’ocra, nelle sepolture si rintracciano alcuni aspetti artistici, rappresentati sia da oggetti di corredo, finemente decorati, che da espressioni grafiche dal contenuto simbolico. Solitamente si tratta di ciottoli dipinti o anche incisi. E’ il caso della sepoltura di un adulto, di circa venticinque anni, trovata in un Riparo di Villabruna a Belluno (Val Cismon) (fig.4). La fossa era stata riempita di detriti e ricoperta di pietre, tra cui due erano state dipinte con motivi geometrici, come il banco di roccia aggettante vicino la fossa disegnato da bande verticali dipinte (Cocchi Genik, 1990). La presenza di oggetti decorati o amuleti non è infrequente, tuttavia a Sunghir in Russia sono state trovate quattro sepolture notevoli per ricchezza di ornamenti, fra i quali anche oggetti in avorio con figurine di animali (fig. 5) (Anati, 1995).
La Puglia ed il suo contributo nel Paleolitico superiore
In Puglia si concentrano almeno cinque delle sepolture rilevanti del Paleolitico superiore italiano. Il più recente dei ritrovamenti, risalenti al 1992, è avvenuto nella Grotta di S. Maria di Agnano dove due sepolture poco distanti erano straordinariamente trattenute dalla breccia giunta fino al soffitto, una delle due appartiene alla donna sepolta con in grembo il suo feto di nove mesi. Altri esempi sono un ragazzo ed una donna trovati a Grotta Paglicci ed una sepoltura bisoma scoperta a Grotta delle Veneri. L’accuratezza usata per queste deposizioni ed il loro stato di conservazione, forniscono una buona documentazione sugli elementi ornamentali, sugli oggetti quotidiani e sui caratteri scheletrici dei tipi umani che vissero nella regione tra i 20.000 e 15.000 anni fa. Le sepolture inquadrate in questo periodo sono in grotte particolari definibili “luoghi di culto” perché hanno restituito anche importanti segni di arte paleolitica (Leone, 2002).
Nella Grotta di S. Maria di Agnano, collocata alla base di un monte nei pressi di Ostuni, in provincia di Brindisi, tra il 1991 ed il 1992 si sono individuate, appunto, due sepolture inglobate nelle concrezioni del soffitto della cavità (da qui, la difficoltà della loro estrazione); i corpi giacevano di spalle a poca distanza. Il sito è tuttora in fase di scavo, ma già ha rivelato il suo enorme valore cultuale, anch’esso ha restituito qualche segno d’arte mobiliare, ma soprattutto un”intensa frequentazione prevalentemente religiosa. E’ possibile che la scelta di tumulare qui una giovane donna, con il feto ancora in grembo, non sia stato un mero atto funerario. Il luogo fu un santuario Mariano per molti secoli, fino agli inizi del 800’, precedentemente in epoca classica fu sede del culto di Demetra ed ancora nel Neolitico fu sede di un altro culto dedicato ad una divinità femminile.
I ritrovamenti di offerte votive attestano l’esistenza di una divinità materna alla quale si sacrificavano maialini (Coppola, 1992). Tuttavia la prima frequentazione della grotta risale al Paleolitico medio, quando gruppi neandertaliani sfruttarono il ricovero del riparo esterno, molto più esteso di oggi; dopo una fase di interruzione il sito fu frequentato, questa volta nell’interno, dai cromagnoniani. La datazione della sepoltura risale a 24.410 – 320 anni fa, età gravettiana.
La donna, trovata in perfetta connessione anatomica, era deposta in una fossa adagiata sul fianco sinistro, con la mano destra appoggiata sul ventre e la sinistra sotto la guancia, come dormiente (fig. 6A-B). Lo scheletro del feto, ben visibile, era posizionato nella esatta dimora materna, mentre il corpo della donna era addobbato da diversi monili: ai polsi indossava bracciali di conchiglie (Cyclope neritea, Ciprea lurida, Trivia europea), il capo aveva un’acconciatura o cuffia composta da un centinaio di conchiglie forate impastate ad ocra. Tutta la sepoltura era circondata da denti di cavallo e rari di Bos primigenius, una porzione del cranio di un cavallo era stata adagiata vicino il capo, diversi pezzi di selce e frammenti ossei, con tracce di incisioni, costituivano la restante parte del corredo.
La deposizione era stata collocata ai margini di un grande masso rettangolare, per poi essere ricoperta di pietrame. Un altro raro caso di feto e attestato nell’Epipaleolitico Natufiano della Grotta di Hayonim sul Monte Carmelo, in Israele (Anati, 1995). Il corpo dell’altro inumano, di cui non si riconosce ancora il sesso a causa della frattura estrema del bacino, presentava la stessa posizione con la mano vicino la testa ma le gambe maggiormente contratte, anche qui il capo era contornato di conchiglie e canini di cervo forati. L’intero reperto è immerso in una breccia molto dura, i lavori di liberazione dei corpi si è svolto nei laboratori di Anatomia e Fisiologia dell’Università di Torino.
In un altro caposaldo della preistoria europea, Grotta Paglicci presso Rignano Garganico, sul Gargano, sono state scoperte due inumazioni risalenti a momenti diversi del Gravettiano. Una deposizione appartiene ad un giovinetto di circa 12-13 anni, sepolto fra lo strato 22 e lo strato 21 quest’ultimo datato alla base: 24.720 – 420 anni fa. Il corpo fu disteso supino, sul pavimento della cavità, e circondato da un insieme di ottimi strumenti litici (fig.7), infine fu semplicemente ricoperto con un sottile strato di ocra. Gli strumenti comprendevano cinque grattatoi, una punta, una lama, un bulino, un osso ed un blocchetto di ematite. Il ragazzo indossava un copricapo composto da una trentina di denti forati di cervo, una collana con un pendente di conchiglia di Cyprea, dei bracciali ed una cavigliera con denti forati di cervo.
La seconda sepoltura, praticata in una fossa ellittica appositamente scavata, era dentro lo strato 21, in un punto dove le datazioni avanzano di circa un millennio rispetto alla base. Appartiene ad una donna, dell’età di circa 20 anni, trovata in posizione supina con le braccia distese lungo il torace, le mani accostate sul ventre e le gambe non più in connessione anatomica (fig. 8), forse a causa di uno smottamento del deposito.
Il corpo era stato ricoperto da ossame di animale, misto a qualche manufatto litico, nonché da blocchi calcarei dipinti di ocra. Fra gli strumenti di selce compaiono: quattro bulini, una lama ed un grattatoio.
L’ocra compariva anche alla base della fossa, sul corpo e particolarmente concentrata sulla testa, sul bacino e sui piedi. La testa era ornata da un piccolo diadema fatto con denti forati di cervo (Palma di Cesnola, 1992). Una terza sepoltura, conservatasi molto parzialmente, era contenuta nello strato 5, a ciò si aggiungono i ritrovamenti di resti umani appartenenti a differenti individui (fra cui due omeri isolati) distribuiti nel resto del deposito. La grotta, ancora in corso di studio, è stata scavata solo nella zona dell’atrio, da qui sono pervenute le note espressioni d’arte mobiliare che testimoniano una consuetudine artistica protrattasi per almeno 10.000 anni. Nell’interno, recondito, della cavità sono nascoste le uniche pitture parietali, figurative, del Paleolitico italiano, costituite da qualche impronta di mano e tre profili di cavalli in ocra.
Alle deposizioni singole di S. Maria di Agnano e di Paglicci si aggiunge una sepoltura bisoma trovata nella Grotta delle Veneri, a Parabita nella provincia di Lecce. E’ datata all’Epigravettiano antico, intorno ai 18.000 anni fa ed è composta da due individui di sesso opposto. I resti scheletrici si riferiscono, purtroppo, solo ai bacini e agli arti inferiori poiché i neolitici praticarono buche votive che distrussero la metà superiore dei corpi (Cremonesi, Parenti, Romano, 1972; Mallegni, 1997). La deposizione era avvenuta in una fossa ellissoidale naturale, sfruttando l’andamento del suolo roccioso (fig. 9). Le abbondanti tracce di ocra indicavano che i corpi erano stati adagiati su questa sostanza o che n”erano stati ampiamente cosparsi. Il corredo ha restituito solo un ciottolo dipinto di ocra ed una trentina di canini di cervo forati in prossimità del punto dove era la testa dell’individuo femminile, infatti i canini trovati in doppia fila e macchiati di ocra avrebbero potuto comporre il copricapo.
Dall’atrio della grotta provengono le due statuine muliebri in osso che hanno assegnato il nome al sito, datate tra il Gravettiano finale e l’Epigravettiano antico, ossia tra 21.000 e 18.000 anni fa. Oltre alle piccole statuine muliebri si sono recuperate circa cinquecento ossa e pietre incise con vari motivi geometrici, risalenti all’Epiromanelliano (fine Paleolitico).
Le componenti somatiche degli individui di Paglicci, Veneri e Agnano rivelano tutti i caratteri classici del tipo umano Cro-magnon e confermano l’attenuato dimorfismo sessuale che allora vigeva tra i due sessi. La statura era elevata, intorno al metro e settanta, per le donne, e al metro e ottanta per gli uomini, gli arti erano molto robusti ed i tratti fisionomici presentavano generalmente una faccia larga e bassa, il naso stretto e a ponte alto, le orbite basse e oblique a contorno rettangolare. I lineamenti del volto della donna di Paglicci sono stati, recentemente, ricostruiti e presentati dal paletnologo Francesco Mallegni, direttore del Dipartimento di antropologia dell’Università di Pisa; il risultato rivela che i suoi tratti non differiscono affatto da una nostra contemporanea. Il giovinetto di Paglicci presenta tratti del viso ancora più delicati e armonici, definiti mediterranei, ma gli studiosi conservano qualche riserva nello stabilire l’appartenenza al tipo mediterraneo, vista la sua tenera età. L’esame paleontologico delle gambe della donna di Ostuni, invece, ha rivelato i segni degli sforzi muscolari tipici della deambulazione su terreni scoscesi ed il segno di una prolungata postura assisa sul calcagno.
Considerazioni finali.
Nelle ultime quattro testimonianze funerarie citate si condensano gli elementi essenziali delle pratiche legate al culto dei morti nel Paleolitico superiore, e la Puglia come le altre regioni italiane è normalmente inserita nella cultura spirituale di allora, tra Gravettiano, Epigravettiano ed Epipaleolitico. Le peculiarità della deposizione accompagnata da ocra, da un corredo personale e da monili sul corpo, evidenziano la grande omogeneità ideologica di quel mondo. Un mondo che presenta anche un articolato rapporto con le grotte: ora abitate, ora designate come dimore dei defunti, ora sacralizzate anche con segni d’arte.
In base ai dati attuali le manifestazioni funerarie non presentano particolari relazioni con le espressioni artistiche, presenti in questi giacimenti, tuttavia non è da escluderlo perché le evidenze su legami sempre più pregnanti fra arte e soprannaturale, arte ed esoterico, vanno aumentando. In quest’ottica, le sepolture citate sono un’ulteriore aspetto dell’escatologico cavernicolo. Perché scegliere quel preciso luogo per “lasciare” disegni su parete o su pezzi di pietra, e perché deporre qualche individuo e non tutti? A prescindere dalla relazione (riscontrabile o non) tra sepolture ed arte, si deve comunque tener presente che la grotta è sempre stato un luogo speciale per l’uomo religioso. La sepoltura in questi luoghi era una scelta sicuramente più elevata rispetto a quella all’aperto, destinata a individui speciali: sciamani, eroi, primogeniti, capostipiti, forse vittime designate di olocausti, forse gli stessi artisti, coloro che hanno ben documentato il valore profondo attribuito alla grotta.
Delle necropoli esterne non rimane quasi più nulla, a distanza di tanto tempo non si sono conservati che rarissimi casi (per esempio di fine Paleolitico nel Vicino Oriente), ma possiamo ragionevolmente pensare che anche qui le emozioni di commiato non erano troppo differenti. Come non differisce, neanche oggi, il senso umano che proviamo di fronte a vite così lontane dalla nostra.
Maria Laura Leone
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