Dopo un excursus introduttivo sulle principali culture della preistoria siciliana, l’attenzione è focalizzata sulla zona circostante il Monte Manganello (Piazza Armerina, Enna). Qui i ritrovamenti indicherebbero una frequentazione estesa e non trascurabile, da inquadrare tra Neolitico ed epoche seguenti. Tali dati, però, sono preliminari e necessitano di ricerche approfondite sia nell’antropizzazione che nella relazione fra i centri individuati.[nggallery id=36]Introduzione
Gli studi sul Paleolitico in Sicilia sono stati abbastanza fruttuosi, seppure limitati a determinate aree, specialmente alle zone costiere che vanno da Termini Imerese fino a Trapani e solo recentemente nell”agrigentino e nella costa siracusana fino a Porto Palo e poi Marina di Ragusa.
I più recenti ritrovamenti hanno messo in discussione la tradizionale convinzione che l”uomo fosse giunto in Sicilia solo nel paleolitico superiore e cioè in un momento molto recente della glaciazione di Würm (15.000 a.C.).
PREISTORIA DELLA SICILIA
Paleolitico inferiore: 300-200.000 anni fa
Paleolitico superiore: 14.000-9.500 a.C.
Mesolitico: 9.500-6.200 a.C.
Neolitico: 5.700-3.300 a.C.
Eneolitico (Età del Rame): 3.300-2.200 a.C.
Età del bronzo antica: 2.200-1.400 a.C.
media: 1.400-1.250 a.C.
tarda: 1250-1.000 a.C.
Età del Ferro: 1.000-600 a.C.
Per quanto riguarda le ricerche sul periodo neolitico, il riferimento più importante rimane ancora la cultura di Stentinello la quale non sembra avere rapporti con quella paleolitica, anzi può essere considerata una novità assoluta nell”isola, avendo somiglianza con le corrispondenti culture del bacino del Mediterraneo e che avrebbero origine comune in Siria e in Anatolia. Del resto i manufatti fittili (ceramica grossolana e incisa) hanno enormi somiglianze pure con le ceramiche neolitiche della penisola balcanica, di Catalogna, Francia meridionale, penisola italica, Africa settentrionale.
La civiltà di Stentinello, il cui villaggio fu messo in evidenza dal grande archeologo Paolo Orsi alla fine del secolo scorso (1890), è conosciuta soprattutto nella parte orientale della Sicilia (Stentinello, Megara Hyblea, Caltagirone, Paternò, Taormina, Naxos, Lipari).
La caratteristica della cultura stentinelliana (il cui inizio si può collocare tra il 5.000 e il 4.500 a.C.) è la produzione di ceramica grossolana decorata rozzamente con incisioni fatte direttamente nell”argilla fresca mediante punteruoli, bordi di conchiglie zigrinate (Cardium e Pectunculus) o direttamente con le unghie. A volte le linee incise formano figure triangolari e talvolta losanghe che ricordano gli occhi. A Stentinello sono stati trovati manufatti fittili a forma di testa cane, di cavallo o di idoletto. Gli uomini, in questo periodo, non abitano più nelle caverne, ma in villaggi di capanne spesso fortificati, lavorano la selce, levigano il basalto e altre pietre dure per ricavarne macine, asce e altre armi e utensili.
La seconda grande ondata culturale in Sicilia presenta una ceramica non più incisa, ma dipinta. Anche in questo caso bisogna cercare le radici altrove poiché il fenomeno interessa l”Asia Minore, la Grecia, l”Italia meridionale e quindi la Sicilia. Alla cultura stentinelliana segue il periodo eneolitico (Età del Rame : dalla fine del IV alla fine del III millennio a.C.). Le prime culture sono quelle di S. Cono Piano Notaro e del Conzo (Eneolitico antico). Una stazione importante per l”eneolitico medio (2800-2500 a.C.) è Serraferlicchio nei pressi di Agrigento caratterizzata da ceramica dipinta in nero opaco su fondo rosso vivo o violaceo, lucido. Per l”età tarda (2500-2200 a.C.) sono rilevanti le culture di Malpasso (nei pressi di Calascibetta, caratterizzata da ceramica monocroma rossa) e di S. Ippolito.
La più conosciuta delle culture siciliane è quella dell”Età del Bronzo e in particolare la cultura di Castelluccio, dal nome del villaggio neolitico a una ventina di chilometri da Noto. Lì non si rinvennero capanne, ma centinaia di tombe a grotticella artificiale a forno. La cultura di Castelluccio è databile tra il 2.200 e il 1400 a.C.
Sulla base della decorazione dei manufatti fittili si sogliono distinguere due varietà: la facies orientale (Catania, Siracusa, Ragusa, Gela) e quella occidentale (Agrigento). A queste andrebbe aggiunta la facies etnea (Paternò, Adrano e Biancavilla). La facies culturale di Castelluccio si estende anche nella zona di Gela e Caltanissetta, ma giunge, come vedremo, anche nell”ennese e pure in quest”ultima zona ben difficilmente sono visibili i tratti caratteristici del villaggio a capanne (si, invece, nella stazione di Cozzo Matrice a Pergusa della tarda età del rame e Sella Orlando di Aidone) mentre sono visibili le necropoli rupestri con tombe a forno (Realmese).
La cultura di Castelluccio rappresenta una facies di civiltà, artisticamente assai rigida, unitaria e conservativa ed è la ceramica, tra i vari elementi culturali, quella che meglio si presta per distinguere i vari aspetti della cultura neolitica. In generale la civiltà di Castelluccio si presenta con una ceramica meno grossolana della precedente età e a volte fine ed elegante. Essa è dipinta con tratti lineari bruni o neri su fondo giallino o rossastro.
I motivi decorativi sono molto ripetitivi e scarsamente variati : spesso sono a bande incrociate o a scacchiere. Anche le forme dei manufatti sono poche: in genere si ritrovano grandi anfore biansate, grandi bacili dall”alto piede conico, pissidi dal piccolo piede conico, bicchieri mono o biansati a clepsidra, doppi vasetti a saliera, fuseruole, pesi da telaio, corni votivi, etc. Rari sono i metalli, a parte qualche laminetta di rame utilizzata forse come rasoio. Gli oggetti litici continuano a essere usati e si trovano con facilità asce di basalto o di pietra verde, macine, macinelle e trituratori. Tra gli oggetti ornamentali si trovano idoletti di osso con caratteristici globuli a rilievo finemente lavorati.
Attraverso gli elementi detti, pare che la civiltà di Castelluccio possa considerarsi parallela con l”elladico medio della Grecia continentale o meglio con la cosiddetta ceramica ”cappadocia” dell”Anatolia centrale. Quest”ultima sembrerebbe la comune progenitrice della greca e della siciliana.
Monte Manganello
Il Monte Manganello fa parte di una corona di alte colline ubicate nella zona nord-occidentale rispetto al centro urbano di Piazza Armerina, rivolte verso la grande vallata del torrente Olivo e delle Contrade di Ballatella, Montagna di Marzo, Vallegrande, Critti, Rabottano.
Amministrativamente fa parte del Comune di Piazza Armerina (En).
Il monte si erge fino a 851 m. proprio nella contrada Rabottano sopra il Vallone Cannella e il suo versante S.O. scende fino a m.669 creando una sella che risale verso un”altura contigua di m.712 chiamata Cozzo Comune. Cartograficamente è reperibile nella tavola I.G.M. n°268, quadrante II, orientamento S.O. Monte Navone.
Vi si giunge attraverso la strada che da Piazza Armerina porta al Convento di S. Maria di Gesù in Contrada Ramaldo proseguendo in salita verso Piano Cannata-Candiglia. Indi la strada scende con stretti tornanti nella valletta del fiume di Giozzo per poi risalire verso Rabottano con un rettilineo in lieve salita. Si lascia la strada asfaltata a sinistra della curva che scende verso valle e s”imbocca la mulattiera in salita che porta alle pendici e al monte Manganello, alla cui sommità vi è una torretta d”avvistamento della Azienda Forestale.
La zona è rimboschita maggiormente con Pino d”Aleppo ed Eucaliptus. Tutta la macchia mediterranea è rappresentata sia nelle radure che nel rigoglioso sottobosco.
Relazione preliminare (Marzo-Maggio 1998)
Attualmente non esiste una indagine sistematica dell”area e neppure a campionamento. Si conosce solo una notizia secondo cui Adamesteanu nel 1962 avrebbe individuato alcuni resti di fortificazione ad aggere.
Durante una delle frequenti escursioni di ricognizione territoriale del Gruppo Archeologico ”Ibla Erea” di Piazza Armerina, proprio nella sella che il Monte Manganello forma con il vicino Cozzo Comune (ivi è la confluenza di quattro mulattiere), è stata notata la presenza di una barriera tagliafuoco (ca. 10 m. di larghezza) che scende nel Vallone Cannella verso nord-est. La creazione (da parte dell”azienda forestale), mediante ruspe, di tale barriera disboscata, insieme all”azione dilavante delle piogge ha messo in evidenza in più punti la presenza di notevole quantità di frammenti fittili antichi che hanno attirato l”attenzione del gruppo di ricognizione. L”osservazione è stata effettuata, anche negli adiacenti boschetti terrazzati di pini rivolti verso la vallata nord, lungo la stradetta che va a sud-est e che sale verso Monte Manganello, sul costone di rocce di Cozzo Comune, sulle fiancate dei terrapieni ai margini delle stradelle che circondano Cozzo Comune, lungo i lavinai, ecc.
Sono stati osservati e recuperati molti reperti tra cui:
· quattro piccoli frammenti di selce (due scarti di lavorazione e due raschiatoi) non ben rifiniti ;
· alcuni manici di anfora di grosse dimensioni di ceramica acroma ;
· un grosso e massiccio manico acromo e un altro con segni di pittura rossastra ;
· manici di fine ceramica dipinta rossastra ;
· frammenti di olla dipinta rossa e spatolata e altri con motivi geometrici a losanga o a strisce nere su fondo rossastro (decorazioni fatte con la vernice durante la levigatura del vaso) ; alcuni frammenti di orli assottigliati ;
· un ciottolo duro (marino) levigato, con segni di consumo e utilizzato come percussore ;
· un frammento a cuneo granitico levigato su due facce ;
· una piccola ascia di basalto intera, una piccolissima e sottile ascia di basalto finemente lavorata, due asce spezzate e due frammenti dello stesso tipo ;
· una pietra da macina :
· la parte inferiore di ”fruttiera” verniciata rossastra con iniziali segni di continuità per i manici ;
· alcuni frammenti di intonaco d”argilla bruciata nel cui contesto si repertano segni di materiale vegetale con cui veniva impastata (fuscelli di paglia, fili d”erba, foglie, semi, etc).
I frammenti litici e fittili, provenendo da ricognizioni di superficie ed essendo stati visti anche a diversa distanza tra essi, mancano di qualsiasi contesto stratigrafico e, nonostante la ben caratterizzata tipologia, possono presentare notevoli difficoltà di datazione. Ad esempio tra i frammenti litici la piccola ascia intera si trovava sulla cima del monte Manganello, mentre altri frammenti litici spezzati sono stati rinvenuti sulla pendice orientale di Cozzo Comune e nella sella tra le due alture.
L”impasto della ceramica è giallo-ocraceo, spesso poco cotto nella parte più interna che si presenta, talvolta, verde-nerastra. L”argilla si presenta grossolana con inclusioni sabbiose. I frammenti sono di spessore variabile da ½ cm.(un caso) fino a quasi 2 cm. Spesso è acroma, talvolta dipinta.
Si ha l”impressione, dai manufatti, che il sito non abbia vissuto una grande evoluzione, anzi si è osservata una certa omogeneità di reperti e tale da far pensare ad un insediamento indigeno della tarda Età del Rame (2.500-2.200 a.C.) fino alla prima Età del Bronzo (2.200-1.400 a.C.) di tipo castellucciano che forse ha continuato ad esistere fino all”inizio dell”Età del Ferro (1.000 a.C.).
Si può attualmente parlare di villaggio anche se nessuna traccia di capanne è stata notata, ma certo, di tale insediamento doveva trattarsi, dato che la zona presenta solo qualche riparo roccioso o qualche anfratto che non giustificano una così estesa antropizzazione, oltre al fatto che le popolazioni, dall”Età neolitica in poi, non amavano abitare in grotte.
Un indizio importante è venuto alla fine di maggio 1998 quando sono stati rinvenuti (nel boschetto terrazzato a nord di Cozzo Comune, adiacente all”anzidetta barriera tagliafuoco della ”sella”) alcuni frammenti di intonaco di argilla con caratteri di lavorazione peculiari: si notano nel contesto dell”impasto, e già ad occhio nudo, molte inclusioni di materiale vegetale come fuscelli di paglia, fili d”erba, foglie e semi. In realtà si tratta di stampi lasciati da tali materiali poiché l”argilla si presenta bruciata (appare cotta all”esterno e più cruda all”interno) forse a causa di incendio. Esaminati i frammenti al microscopio da mineralogia, viene confermata la presenza, nel contesto dell”argilla, di tali inclusioni che servivano a rendere più compatto e duraturo l”impasto per intonacare i muretti delle capanne o la loro pavimentazione. In osservazioni più accurate (Giugno 1988) si sono potuti individuare almeno tre zone nella sella descritta in cui si reperta stratificata la presenza di questi intonaci.
Mentre nelle prime escursioni della primavera del 1998 non erano state trovate tracce di necropoli, nella prima metà di Aprile dello stesso anno, sul versante Est di Cozzo Comune, la ricerca ha dato i frutti sperati e sono state individuate alcune tombe a grotticella artificiale a forno (quattro) lungo un costone roccioso in parte crollato. Una tomba (n°4), in particolare, si presenta intatta nella sua struttura e (nonostante che sia completamente aperta) meriterebbe un”indagine più approfondita. Altri segni di grotte da sepoltura sono stati trovati nella fiancata occidentale dell”altura del monte Manganello esattamente di fronte al versante orientale di Cozzo Comune.
Anche se siamo lontani da qualsiasi costruzione di teorie interpretative, data l”esiguità dei dati sui manufatti e quasi nessuna sugli ecofatti, tuttavia pare possibile che a un certo momento (molti secoli più tardi, forse nella fase della spinta sicula), la comunità abbia dovuto abbandonare il posto non trovandolo più idoneo alle mutate abitudini ed esigenze di vita e non più sicuro a causa di continue pressioni da parte di altre popolazioni. Infatti, pur essendo la zona impervia ed elevata per ¾ del territorio, non sembra particolarmente difendibile dal lato meridionale da parte di quelle pacifiche popolazioni (se si eccettuano alcuni resti di fortificazione ad aggere individuati da Adamesteanu sulla pendice sud del monte Manganello e non ancora trovati da noi), tuttavia gli antichi abitatori erano certamente in grado di scorgere gli eventuali pericoli con largo anticipo, potendo disporre vedette sulla montagna dalla cui cima ancora si godono estesi panorami sia sulla valle del torrente Olivo a N-E, sia su quelle del Braemi a S-E e del Giozzo a Est.
Non sembra attualmente esserci traccia di ellenizzazione in tutte le zone fin qui esplorate, ad eccezione della cima del monte Manganello dove è stato osservato qualche frammento di ceramica di imitazione attica (bisogna far osservare a questo proposito che le difficoltà di ricerca sulla cima del monte sono dovute alla forte erosione meteorica e alla creazione, negli anni scorsi, di una estesa barriera tagliafuoco che, di fatto, ha grattato uno strato di suolo di almeno un metro).
È possibile che gli antichi abitatori abbiano rinunciato alla tipologia di urbanizzazione a villaggi di capanne per cercare un altra soluzione abitativa e sociale. Una delle soluzioni potrebbe essere stata quella di inerpicarsi sulla cima del monte più alto che avrebbe costituito molto più tardi uno dei tanti villaggi fortificati dai Greci dell”interno della Sicilia, distrutti da Ducezio nella seconda metà del V sec. a.C. durante la celebre rivolta delle città sicule contro i Greci, oppure, più a valle, verso un luogo nuovo, seppure sempre da essi osservato: il massiccio tufaceo a nord, nella vallata del torrente Olivo corrispondente a Montagna di Marzo, dove esistette un grande centro indigeno fortificato e più tardi ellenizzato (una polis ancora anonima – forse Erbessos – che presenta chiari segni di vita fino in epoca bizantina). Sarà possibile trovare un anello di congiunzione tra la comunità di Monte Manganello e quella di Montagna di Marzo?
L”interesse della Soprintendenza ai BB.CC.AA. della Provincia di Enna è stato tale che sarà presto eseguita una somma urgenza al fine di tutelare la zona dell”insediamento in attesa di avviare una campagna di scavi regolari.
Appendice
Nell”estate del 2000 la Soprintendenza di Enna ha effettuato lo scavo ufficiale tanto atteso proprio nelle contrade segnalate di Monte Manganello e Cozzo Comune. Oltre alle fondazioni di quattro capanne, sono state individuate zone di fornaci e luoghi di culto. La rarità del ritrovamento consiste nell”aver recuperato, nei pressi di un focolare, oggetti pressoché intatti come alcuni vasi (tra cui un bacile rituale con tre corni fittili attaccati all”interno del corpo del vaso stesso) così come erano stati depositati prima che un evento alluvionale ha sigillato, tutto l”insediamento. Alla luce della scoperta del sito il Dott. Lorenzo Guzzardi, direttore dello scavo, ha dichiarato che questo evento offre una importante occasione di approfondimento sul momento di passaggio dall”età del Rame all”età del Bronzo in Sicilia.
(SEBASTIANO ARENA)
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