L´idea che l´uso di allucinogeni potrebbe essere una fonte di ispirazione di alcune forme di arte preistorica non ci è nuova. Dopo un breve generale esame dell’arte rupestre, questo articolo intende focalizzare la sua attenzione su un gruppo di pitture rupestri del Sahara, fatte dai Raccoglitori Arcaici preneolitici, nelle quali si trovano rappresentate ripetutamente immagini di funghi. Le policrome scene di raccolta, adorazione ed offerta di funghi, senza menzionare altri dettagli, ci inducono a supporre che siamo di fronte ad un antico culto del fungo allucinogeno. Ciò che è degno di nota in queste opere etnomicologiche, prodotte tra 9.000-7.000 anni fa, è che possono sicuramente riflettere la più antica cultura umana, oggi documentata, nella quale l´uso rituale di funghi allucinogeni sia esplicitamente rappresentata. Come i padri della moderna etnomicologia (ed in particolare R. Gordon Wasson) hanno immaginato, questa testimonianza sahariana dimostra che l´uso degli allucinogeni risale al Paleolitico e che la loro presenza si colloca sempre in contesti di natura rituale e mistico-religiosa.
Già pubblicato in
‘INTEGRATION’, Journal of Mind-moving Plants and Culture, no. 2/3 1992
(testo tradotto in italiano)
[nggallery id=8]L´arte rupestre preistorica è presente in tutto il mondo, è la testimonianza della storia preletteraria delle culture umane. E´ la prima permanente forma di comunicazione visuale conosciuta dall´uomo, la stessa arte che conduce all´invenzione della scrittura, risalente quasi alle origini dell´umanità. Infatti in Tanzania, come in Australia, ci sono pitture rupestri risalenti a 40.000 anni e più (Anati, 1989). Sin da quando la maggior parte delle opere di arte rupestre furono connesse a riti di iniziazione e a contesti di pratiche religiose, l´idea che potrebbero essere associati all´uso di vegetali allucinogeni (come è già stato avanzato per alcuni casi specifici sulla base di dati etnografici ed etnobotanici) non è una sorpresa.
Tale uso, nei luoghi dov´è presente, è storicamente associato a rituali controllati ed implicanti gruppi sociali di differenti livelli. Probabilmente non è un fatto casuale che nelle aree di arte rupestre – dove si asserisce vi sia stato uso di allucinogeni, utilizzato come fonte d’ispirazione artistica e riconosciuto nelle scene – sono anche le aree dove sono presenti maggiori e famosi esempi di policromia e contenuti mitologici.
Possiamo considerare per esempio, le opere archeologiche (o piuttosto ‘archeo-etno-botaniche’) della Siberia Orientale, nel Circolo Artico, sulle rive del fiume Pegtymel. V’è un’estesa area con petroglifi risalente al Neolitico locale. Fra le scene troviamo raccoglitori di funghi (Dikof, 1971). In alcuni casi troviamo donne con lunghi abiti ed orecchini, con un enorme fungo sulla testa, e gente che tenta di stare in equilibrio. La forma tozza e la decorazione del fungo ci fanno supporre che fosse l’Amanita Muscaria (Fly-agaric), il fungo allucinogeno più spesso associato alle pratiche sciamaniche dell’Euroasia e N. America (Wasson, 1979). Motivi con funghi sono stati trovati tra i petroglifi degli insediamenti preistorici della penisola del Kamciatka sulle rive del fiume Ushocovo (Dikov, 1979).
La cultura paleolitica dell’Ushocovo (protoeschimese) appartiene al gruppo di gente che hadato luogo alle varie culture paleoschimesi del N. America (II° mill. a. C.). Si può immaginare che questi protoeschimesi appartenessero a gente che nella loro cultura ebbe in forma embrionale pratiche religiose protosciamaniche.
In California, l’arte rupestre delle regioni abitate dei Chumash e Yokut (con pitture in policromia, particolarmente evidenti durante la fase detta dello stile dipinto di S. Barbara) è stata associata con il culto ‘toloache’, centrato sulla ‘Jimsonweed’ (una pianta allucinogena del genere Datura), conosciuto presso un certo numero di tribù indiane californiane e messicane (Campbell, 1965 : 63-64; Wellmann, 1978 e 1981). Apparentemente i primi esempi di arte rupestre Chumash risalgono a 5.000 anni fa (Hyder & Oliver, 1983). Anche le impressionanti pitture del Pecos River in Texas sono state associate con il culto del ‘mescal’ (Sophora secundiflora, chicchi o fagioli allucinogeni usati durante i riti di iniziazione dagli indiani della regione) (Howeard, 1975). Furst (1986) afferma che il culto del mescal risale almeno a 10.000 anni prima, vale a dire al periodo dei cacciatori paleo-indiani, della fine del Pleistocene. Gli scavi eseguiti nelle aree con arte rupestre hanno evidenziato semi di mescal risalenti a 8.000 anni a.C. (C14) e tracce di ‘peyote’ (Lophpophora williamsii) (Campbell, 1958).
Completamente esplicito ed interessante è l’uso della ‘cohoba’ (una polvere allucinogena estratta dall’ albero Anadenanthera peregrina), documentata nell’arte delle genti del Borbon Caves nella Repubblica Dominicana (Pagan Perdomo, 1987). Quest’arte è probabilmente un esempio della Tarda Cultura delle Antille dei Tainos e risale ad un periodo appena precedente all’arrivo degli spagnoli. In queste pitture, il soggetto dell’inalazione del cohoba -attraverso l’interpretazione di canne pipa- viene ripetutamente rappresentato (Franch, 1982). L’uso di allucinogeni come una significativa sorgente d’ispirazione, è stato anche associato all’arte rupestre peruviana. Siamo nel Rio Chinchipe, Nord Perù, dove vi sono incisioni su roccia probabilmente influenzate dall’uso della ‘ayahuasca’ (Banisteriopsis spp. & allies) (Andritzky, 1989 :55-57). Che questa sia un’antica pratica è confermata da ritrovamenti archeologici (Naranjo, 1986). Anche nell’arte della Samanga, montagnosa regione della provincia di Ayabaca (Piura), troviamo figure interpretate come l’immagine del ‘San Pedro’ (Tricocereus pachanoi), il cactus allucinogeno ancora usato nel Nord del Perù e in Ecuador, durante i riti terapeutici sciamanici (Polia, 1987, 1988).
Infatti, indicazioni archeologiche sull’uso di allucinogeni sono state trovate fra molte culture precolombiane (Dobkin de Rios, 1974; Furst, 1974). Recentemente è stato anche avanzato che pure la più antica arte paleolitica in grotta franco-cantabrica sia stata influenzata da stati alterati di coscienza, procurati attraverso vari metodi fra i quali l’uso di allucinogeni (Lewis-Williams & Dowson, 1988). Gli psicogrammi paleolitici, una serie di aniconici grafemi (punti, linee verticali, circoli, zigzag, losanghe ecc.) che insieme ad immagini zoomorfe coprono i muri del Paleolitico europeo possono essere considerate come il frutto di stati entoptici, fosfenici e allucinatori, tipici fenomeni sensoriali pertinenti gli stati alterati di coscienza, come può essere raccolto dalle ben conosciute ricerche di Reichel-Dolmatoff fra i Tukano dell’Amazzonia (1978 : 43-47).
Anche il naturale cambiamento della coscienza che avviene per il prolungato isolamento sensoriale, è stato già notato. Queste condizioni possono essersi determinate durante lo stazionamento nelle profonde caverne paleolitiche. Tuttavia, il modello ‘neuropsicologico’ avanzato da Lewis-Williams e Dowson non è sufficiente per interpretare il complesso fenomeno dell’arte paleolitica, tutt’ al più questo modello può far supporre che i fattori di alterazione mentale possono aver contribuito al divenire dell’arte Preistorica. A questo punto dobbiamo ricordare la teoria di Kaplan (1975), secondo cui i funghi sono rappresentati nell’arte svedese delle caverne, durante la lunga Età del Bronzo scandinava. Va anche sottolineato che l’esplicita rappresentazione di vegetali psicotropi e oggetti sacri è sottoposta a tabù, quindi è rara ed i pochi casi di esplicite rappresentazioni associate all’uso di allucinogeni rappresentano solo una piccola parte dell’arte sacra della preistoria. Dobbiamo considerare che gli oggetti sacri non potessero essere celati dietro un’apparecchiatura simbolica o una natura grafica cui il significato va oltre l’apparenza e le nostre conoscenze.
Tuttavia, incoraggianti evidenze che supportano l’idea della relazione tra Uomo e allucinogeni, nel nostro caso funghi, sono presenti fra le antiche popolazioni del Sahara che abitavano questa vasta area quando era ancora coperta da un esteso strato di vegetazione (fig. 1) (Samorini, 1989). I ritrovamenti consistono in pitture preistoriche che l’autore ha visto personalmente durante due viaggi in Algeria. Questi potrebbero essere, ad oggi, i più antichi ritrovamenti etnomicologici, risalenti al cosiddetto periodo delle’Teste Rotonde (circa 9.000-7.000 anni fa’). IL centro di questo stile è il Tassili, ma altri esempi sono a Tadrat Acacus (Libia), Ennedi (Chad) e meno estese a Jebel Uweinat (Egitto) (Muzzolini, 1986 :173-175).
L’arte del Sahara centrale, separata dalle estese concentrazioni di incisioni, vicino ai siti degli antichi fiumi, e le pitture dei ripari sotto roccia tra i larghi promontori o gli alti plateaux che raggiungono un’altitudine di circa 2.000 m., copre un periodo di 12.000 anni, generalmente diviso in 5 periodi. Il periodo del ‘Babulus Antiquus’, risalente ai Cacciatori Arcaici della fine del Pleistocene (10.000-7.000 a. C.), è caratterizzato da rappresentazioni di grandi animali selvaggi (Mori, 1974). Il periodo delle ‘Teste Rotonde’, a sua volta è diviso in vari fasi e stili associato alle popolazioni epipaleolitiche dei Raccoglitori Arcaici (7.000-5.000 a. C.), le cui opere fantasiose sono diventate famose nel mondo. Il periodo Bovidiano o ‘Pastorale’ (che ha inizio 5.000 a.C.), una popolazione di mandriani e allevatori la cui arte è prevalentemente concentrata su queste attività; dopo questi c’è il periodo del ‘Cavallo’ ed ultimamente quello del ‘Cammello’, la cui arte è stereotipata e di bassa qualità.
Taluni esperti di arte rupestre hanno già avanzato l’idea che l’arte delle Teste Rotonde possa essere stata influenzata da stati estatici ed allucinatori. Secondo Anati (1989 : 187), quest’arte è prodotta dai raccoglitori arcaici tra la fine del Pleistocene e l’inizio dell’Olocene. Opere analoghe, datate quasi allo stesso periodo, sono presenti in vari siti nel resto del mondo (Sahara, Tanzania, Messico, Texas ecc.). Sono aree divenute aride solo dopo, quando laghi e fiumi si asciugarono. Dalle molte opere che queste genti ci hanno lasciato impariamo che furono raccoglitori di cibo vegetale selvatico: ‘gente che è vissuta in una specie di giardino dell’Eden e che usava sostanze che alteravano la mente’.
Anche Sansoni (1980) è dell’opinione che ‘quest’arte possa essere il lavoro di una normale coscienza o il risultato di particolari stati di estasi associati a danza e all’uso di sostanze allucinogene’. Il contesto o piuttosto le motivazioni dietro l’arte delle teste rotonde, come anche quella degli altri periodi del Sahara, sono generalmente di natura religiosa e probabilmente iniziatica. Fabrizio Mori, discutendo su Acacus ha accennato ‘la stretta relazione che deve esserci stata tra il pittore e le figure, tipica di tutte le società preistoriche, cui il ruolo principale è di mediatore tra la terra ed il cielo: il mago-sacerdote (Mori, 1975). Secondo Henri Lhote, lo scopritore degli affreschi del Tassili, ‘sembra evidente che queste cavità dipinte fossero dei santuari segreti’ (Lhote, 1968).
Immagini di enormi esseri mitologici o di umani o di forme animali fianco a fianco con una schiera di piccoli esseri ornati di penne e in posizione di danza coprono le pietre dei molti ripari presenti sull’alto plateaux del Sahara, in alcune aree tali ripari sono così interconnessi come a formare una vera cittadella con strade, piazze e terrazze. Una delle più importanti scene si trova nel sito di Tin-Tazarift nel Tassili, contiene una serie di figure mascherate in fila ieraticamente vestite o indicate come danzatori circondati da lunghi e vivaci festoni o disegni geometrici di tipo differente (fig. 2). Ogni danzatore ha una specie di fungo nella mano sinistra e , ancora più sorprendente, due linee parallele escono dal fungo a raggiungere il centro della testa del danzatore, dove si dipartono due corna. Questa doppia linea può significare un’indiretta associazione tra il fluido immateriale che passa tra l’oggetto tenuto in mano e la mente. L’interpretazione potrebbe coincidere con il fungo, se riflettiamo sull’enorme valore mentale indotto dai funghi e dai vegetali allucinogeni, il quale si rivela spesso di natura mistica e spirituale (Dobkin de Rios, 1984 : 194).
Sembrerebbe che questa linea – essa stessa è un ideogramma che rappresenta qualcosa di immateriale nell’arte antica – rappresenti ciò che il fungo è per la mente umana. L’intera scena è pregna di profondi significati simbolici ed è la rappresentazione di un evento culturale che dovette essere periodicamente ripetuto. Forse siamo di fronte alla testimonianza di uno dei più importanti momenti sociali, religiosi ed emozionali vissuto da queste genti. La moltiplicazione della posizione e del coordinamento dei danzatori, rivelerebbe contesto collettivo. La danza qui rappresentata ha tutto di una danza rituale che, forse, ad un certo livello diventa estatica.
Nelle varie scene descritte, una serie di costanti figurative ci portano ad immaginare l’accompagnamento di una struttura concettuale associata al culto etnomicologico. Chiari esempi con simili costanti sono nelle due notevoli figure del Tassili meridionale (siti di: Aouanrhat e Matalem-Amazar), classica andatura a gambe incurvate all’interno e braccia incurvate all’ingiù. Un’altra caratteristica comune è la presenza di simboli fungini che escono dalle braccia e dalle cosce; altri sono nella mano. Nel caso della figura di Matalem-Amazar, i funghi spuntano sull’intera area che circonda il corpo (figg. 3-4). Questi simboli furono interpretati come: punte di freccia o rami (Mori, 1975), un vegetale o probabili fiori (Lhote, 1973 :210 e 251), o un indefinito ed enigmatico simbolo. La forma che più gli si avvicina è quella del fungo, più probabilmente del tipo psicotropo, il cui uso socializzante e sacramentale viene rappresentato attraverso la rappresentazione: della la raccolta, delle espressive scene di danza rituale, nei motivi fosfenici geometrici e nelle opere visionarie del Tassili. Possiamo interpretare, queste due figure, come lo ‘spirito dei funghi’, documentato presso altre culture che utilizzano funghi ed altri vegetali psicotropi.
In un riparo di Tin- Abuteka, nel Tassili, c’è un altro interessante motivo, che sembra apparire almeno due volte, costituito da due funghi ed un pesce; unica composizione simbolica presente fra le culture etnomicologiche (fig. 5). Due funghi, dipinti opposti l’uno all’altro, sono vicino alla coda di un pesce (più in alto c’è un altro pesce senza funghi). Nella stessa scena troviamo ancora un’immagine spiegabile alla luce dell’indagine etnomicologica; Nel mezzo c’è una figura antropomorfa a contorno con il corpo inarcato e sul suo retro due funghi.
Se i funghi in questione sono quelli che crescono nello sterco, l’associazione tra essi ed il retro della figura potrebbe non essere puramente casuale. Si sa che molti funghi psicotropi (su tutti, Psilocybe e Panaeolus) vivono nello sterco di determinati quadrupedi: bovini, cervi ed equini. Questo specifico fenomeno ecologico non può non essere stato tenuto in conto con particolare riguardo all’uso sacramentale dei funghi psicotropi, conducendo all’ideazione di relazioni mistico religiose tra il fungo e l’animale che produce il suo naturale habitat. Inoltre, lo sterco lasciato dalle mandrie costituiva un’importante traccia da seguire durante la caccia pertanto la profondità di una simile conoscenza escatologica può risalire già al Paleolitico (epoca della grande caccia).
In ciò abbiamo un’incoraggiante argomentazione per individuare, in diverse occasioni, associazioni mitiche tra l’animale sacro ed il fungo allucinogeno. Il sacro cervide delle culture mesoamericane e la mucca dell’India Hindù (cui lo sterco procura l’habitat al Psilocybe cubensis, un potente allucinogeno usato ancora oggi) possono essere interpretati in questa chiave zoo-escatologica (Wasson, 1986 :44; Furst, 1974; Samorini, 1988).
In una pittura a Jabbaren -uno dei siti più ricchi del Tassili- ci sono almeno cinque individui ritratti inginocchiati in fila, con le braccia alzate mentre di fronte hanno tre figure di cui due sono chiaramente antropomorfe. Potrebbe essere una scena di adorazione, nella quale le tre figure rappresenterebbero divinità o esseri mitologici, con grandi corna e la porzione superiore a forma di un grande fungo. Se effettivamente la scena è di adorazione, significa che siamo davanti ad un’importante testimonianza delle credenze mistico-religiose appartenente alla fase delle Teste Rotonde. Dove la rappresentazione di una ‘sacra trinità’ viene illustrata attraverso una precisa iconografia. E’ di grande importanza concettuale che la parte superiore delle figure sia come un fungo, perché può essere relazionata all’iconografia di Aouanrhat e Matalem-Amazar. Figure più o meno antropomorfe con testa a forma di fungo, non sono rare nello stile delle Teste Rotonde, alcune hanno una ‘testa-cappello’ papillata (di colore bluastro in due casi), altre hanno una foglia o un piccolo ramo.
Dunque, questi vari dati suggeriscono la presenza di un antichissimo culto dei funghi allucinogeni e della relativa raffigurazione mitologica, attraverso una complessa differenziazione di specie botaniche. E’ certamente notevole il fatto di essere in presenza della più antica cultura umana, finora scoperta, risalente all’età della Pietra, della quale abbiamo esplicite rappresentazioni dell’uso rituale dei funghi psicotropi. Come i fondatori della moderna etnomicologia hanno già ipotizzato (specialmente Wasson, 1986), queste testimonianze sahariane dimostrerebbero finalmente che l’uso degli allucinogeni ebbe origine sin dal Paleolitico e che è stato sempre incluso nei contesti rituali mistico-religiosi.
Non è facile identificare le specie dei funghi rappresentati nell’arte delle Teste Rotonde.
Le loro caratteristiche biochimiche spiegherebbero il tipo d’effetto sulla mente umana ed il tipo di flora alla quale appartenevano che dovrebbe essere quella scomparsa o ritirata quando il bacino sahariano diventò deserto. Dalle pitture sembrerebbe che vi siano almeno due specie: una piccola, con una papilla sulla punta (tipica delle Psilocybe) ed una grande come Boletus o Amanita. I colori usati sono: il bianco ed un altro che potrebbe essere il risultato di un’ossidazione.
L’area del deserto del Sahara è stata sottoposta a periodiche variazioni climatiche, vi sono stati almeno tre lunghi periodi umidi, a partire dal 20.000 a. C., alternati a tre periodi di siccità; pare che la siccità di oggi sia meno severa delle due precedenti. La metà del grafico di Muzzolini (1982) è occupata dal ‘grande periodo umido olocenico’, caratterizzato dalla presenza di enormi laghi diffusi sul bacino sahariano (10.000-5.500 a.C.).
La cronologia delle Teste Rotonde, generalmente accettata, rientra in questo periodo. In effetti l’esame dei pollini rinvenuti nel Tassili rivela che, durante il periodo delle Teste Rotonde, quest’area fu coperta da una flora d’altitudine (2.000 m.) con conifere e querce (AA.VV. 1986:97). Si può presumere che in gran parte i funghi rappresentati fossero indigeni di quella boscaglia ed intimamente associati agli alberi che vi crescevano.
I funghi non sono i soli vegetali trovati nello stile delle Teste Rotonde. Esistono personaggi con costumi e posizioni ieratiche, danzanti, che trattengono nelle loro mani piccoli rami o foglie (perfino una radice). Almeno due specie vegetali si ripetono frequentemente nelle immagini del Tassili e del vicino Acacus. Di solito ciò che circonda la raffigurazione di allucinogeni è sempre rappresentato all’interno di un generale contesto vegetale; è molto probabile che in un tale contesto si possano individuare le origini delle specializzazioni: magiche, terapeutiche e culinarie, di questi vegetali, presso una determinata comunità.
Questo nuovo frammento del puzzle ‘etnomicologico’ è ancora più significativo se lo consideriamo dal punto di vista della ricerca dell’uso degli allucinogeni nell’immenso continente africano. Alcuni progressi sono stati fatti negli ultimi anni, riguardo gli studi di questo problema (Emboden, 1989; Hargreaves, 1986; Lehman & Mihalyi, 1982; Monfouga-Brousta, 1976; Wagner, 1991; Winkelmann & Dobkin de Rios, 1989). Ma l’Africa ha ancora molto da dirci in proposito, sia per la carenza di ricerche adeguate che per la ricchezza e l’estrema antichità delle religioni animistiche indigene.
Soltanto alla conclusione di questo articolo ho saputo che anche Terence McKenna (1988) ha proposto (altrove) la stessa ipotesi etnomicologica sahariana, aiutato dalle indicazioni dell’etnomicologo Jeff Gaines e dall’osservazione delle foto del Tassili pubblicate da D. Lajoux (1964).
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