Estratto da:
Bollettino Camuno Studi Preistorici Vol. 28: pagg. 57-68 – 1995
Résumé
L´auteur envisage que les pendentifs sphériques à la ceinture des Stèles Dauniennes féminines peuvent représenter la plante de l´´opium, Papaver somniferum. Le rôle spirituel de cette plante pourrait être monopolisé par la caste sacerdotale. A la lumière de cette hypothèse les stèles prendent une autre signification .
Summary
The author hypotizes that the spherical pendants worn at the belt by the feminine Daunian Stelae represent opium plants, Papaver Somniferum. The important spiritual role the plant played may have made it a monopoly of the prieslty caste. The stelae assume a new significance in the light of this hypotheses.
Sommario
L´autrice avanza la teoria che i pendenti sferici appesi alla cintura delle Stele Daunie femminili possano rappresentare la pianta dell´´oppio, Papaver Somniferum. L´´importante ruolo spirituale che questa pianta potrebbe aver rivestito dovette essere monopolizzato dalla casta sacerdotale. Alla luce di questa interpretazione, queste stele assumono un nuovo significato. [nggallery id=19]La Civiltà Daunia ci ha lasciato singolari testimonianze riguardo la sacralità della pianta da oppio, il Papaver Somniferum. Le stele femminili portano la pianta appesa alla cintura, riconoscibile nei pendenti sferici che il Ferri chiamò cerchi di risonanza, kymbala. Dal momento che tali pendenti sono attributo di questi monumenti, se ne deduce che la pianta ebbe un posto rilevante nella sfera spirituale di quella Civiltà. L’interpretazione di questi simboli, rintracciabili in un mondo che oscilla tra il naturale e soprannaturale, è insieme un contributo alla storia della fitoterapia e dei comportamenti religiosi connessi ai vegetali che rendono ´divini´. Per i Dauni il monopolio della pianta dovette essere privilegio di una casta sacerdotale. Alla luce di tali acquisizioni si può rivedere la questione della funzione dei monumenti, finora considerati funerari, ed aprire nuove ipotesi interpretative che contemplino la funzione di ex voto e/o di sculture propiziatorie.
Non sempre la documentazione archeologica delle suppellettili e degli insediamenti ci illumina sul profondo ideologico della civiltà a cui appartengono. Non conosceremo mai il pensiero e l’essenza di quel popolo se non attraverso manifestazioni, più o meno esplicite, del loro ragionamento esoterico, le cui espressioni più alte si ritrovano nel simbolismo degli atti di culto e nelle raffigurazioni artistiche attinenti. Nel caso degli antichi Dauni, disponiamo della complessa storia circa le loro credenze terrene ed ultraterrene, attraverso le stele istoriate, ´fossili´ indicativi di consuetudini ascetiche e terapeutiche dimenticate.
Ideologia e cultura di quella civiltà, tra VIII ed inizi del VI sec. a.C., sono riflesse in questi preziosi documenti scultorei. Essi non rappresentano solo l’eredità di un ricco patrimonio spirituale ma sono anche una delle punte massime del fenomeno statue-stele ai suoi epigoni, nell’Italia preromana. ‘E come se i Dauni ci parlassero direttamente dei loro riti e tradizioni, in un linguaggio figurativo, a volte preciso a volte bozzettistico,. Sul corpo della stele femminile vi sono riquadri con scene di processioni, lotta armata, caccia, pesca, gerarchie sociali, tra uccelli totemici ed un numero variabile di grafemi sferoidali metafora della capsula secca del papavero da oppio.
Portato appeso alla vita della stele o tra i capelli dei soggetti femminili, questo è il principale attributo dell’entità di pietra, espresso con un simbolismo grafico ermetico e metaforico, tuttavia dominante e riportato anche su alcuni schemi iconografici e morfologici della ceramica locale (L. LEONE, 1990, 1992A, 1994). Grazie alla sua identificazione, oggi si apre un nuovo capitolo nella storia dell’esegesi delle stele femminili, il cui numero considerevolmente maggiore lascia intendere che l’entità superiore imperante nella Daunia antica fu una donna, una dea od una sacerdotessa dotata di poteri e virtù eccezionali.
I suoi simulacri e quelli del suo sposo, eletto cacciatore e guerriero, erano probabilmente segno di richiesta e devozione per una grazia ricevuta o per un atto propiziatorio. Venivano innalzati dai fedeli nelle zone strettamente connesse alla laguna tra Siponto e Salapia, miracolo ambientale e naturalistico ancora parzialmente presente nel Nord della Puglia.
Nell’area di Masseria La Cupola a Beccarini (la Siponto di epoca daunia), a Salapia e forse anche in altri luoghi poi coperti dalle paludi, dove probabilmente venivano in pellegrinaggio i fratelli dai villaggi vicini, i Dauni più antichi lasciarono i loro scultorei atti di fede. Fuori queste zone non esistono, ad oggi, significative concentrazioni per ritenere che tutti i Dauni o coloro che culturalmente riconosciamo come tali, innalzavano le stele. I pochi frammenti trovati altrove sarebbero traccia della dispersione seguita all’interruzione del culto.
Recuperate a partire dagli anni sessanta, sono conservate nel castello di Manfredonia, non lontano da Coppa Nevigata. In questa zona la laguna costiera fu eletta a luogo sacro dai Dauni, allorquando le piogge ed il clima freddo dell’età del Ferro permettevano sia un livello navigabile delle acque interne che una buona condizione di vita. Tra IV e III sec. a.C., l’innalzamento della temperatura portò all’inesorabile evaporazione dell’acqua trasformando la pianura in una landa paludosa e malsana (M.CALDARA, L.PENNETTA, 1993).
Le immagini sacre, di calcare garganico, rivelano l’opulenza in cui sorsero. Infatti, il corollario delle scene riportate nell’iconografia è quello di un ambiente brulicante di volatili e ricco di selvaggina, riflesso di una terra dove confluivano i vari corsi idrici del Subappennino. Habitat tra i più completi, con una fauna ricchissima, un’idrografia complessa, risorse botaniche ed economiche che permettevano la produzione di sale, di canneti per intrecci artigianali e imbarcazioni, fanghi e argille e magari anche i preziosi papaveri narcotizzanti. Quella pianta del sonno (ancora usata per addormentare i bambini più nervosi) ebbe per i Dauni e per l’antichità in genere, un’importanza pratica e concettuale che, attraverso le stele daunie, possiamo iniziare a ricostruire.
MELAGRANE, CIMBALI O SIMBOLI DI POTERE MAGICO ?
Il primo a proporre un’ipotesi sui pendenti sferici delle stele daunie fu Silvio Ferri, colui che si occupò a lungo di questi monumenti tra gli anni sessanta e settanta. Egli li denominò melagrane se avevano l’aspetto realistico e kymbala (cimbali di risonanza) se erano a cerchi concentrici (S. FERRI, Stele Daunie, IV,V,VII).
Da rare sepolture daunie e picene, sono emersi dischi in osso o metallo presso i femori del morto (E.BRIZIO, 1895, pp.87-438; J.SZOMBATHY, 1917) e pendenti a melagrana (Salapia, tomba n.1, 550-525 a.C., E.M.DE YULIIS, 1974; diffusi anche in Illiria, K.KILIAN, 1973, a pag.363 in un suo intervento degli atti del Colloquio di Preist. e Protost. della Daunia). Per deduzione si è ritento che fossero gli stessi ornamenti delle stele (NAVA, 1980, pag.41). Infatti, questi possono avvicinarsi all’oggettivazione dei misteriosi pendenti ma il loro significato andrebbe rivisto. Quelle che appaiono melagrane possono essere grafemi della capsula del papavero sonnifero, e i dischi concentrici sotto forma di pendenti magici possono richiamare il potere esoterico della pianta. Sulle stele i due oggetti spesso si sovrappongono, si alternano nel riportarne i particolari fitomorfi (la coroncina o la foglie) e si confondono graficamente, fino a tradire la comune origine vegetale.
Un’attenta analisi di tutti questi particolari grafici mi ha indotto ad interpretarli come le svariate soluzioni magiche o semantiche dello stesso oggetto idealizzato e geometrizzato. E se nella realtà fisica si tramutavano in dischi di osso o di metallo, in sfere a forma di melagrana, si può pensare a talismani ed amuleti da associare a funzioni contingenti l’oppio ed i suoi derivati. La forma del papavero è stata spesso impiegata come simbolo o decorazione di monili: orecchini, vaghi di collana e spilloni derivanti da Europa, Egitto, Vicino Oriente. Altrettanto spesso è stata scambiata con la melagrana, un vegetale mai utile quanto il papavero da oppio. Pertanto l’importanza del papavero, nell’antichità, andrebbe colta in quelle metafore grafiche e decorative che nascondono risvolti religiosi e terapeutici.
L’importanza data a quel simbolo onnipresente sulle stele, ma in generale nell’iconografia religiosa daunia, salta in evidenza quando si analizzano le pettinature delle donne, se si coglie il potere di quei bastoni-scettro presenti nelle scene ritual-terapeutiche, e se si fa caso alla forma singolare della tipica olla daunia. Contenitore di prestigio per i Dauni, onnipresente nelle sepolture e spesso portato in testa alle donne in processione. In tale contesto interpretativo la sua forma richiama, appunto, quella della capsula del papavero, con un corpo sferico ed un ampio labbro svasato che ne ricorda la corolla. Ha due manici e due protomi a forma di mano che paiono reggere o pregare in funzione di un contenuto prezioso. Un vaso cerimoniale, insomma. Non escluderei che in esso si conservasse o preparasse qualche mistura miracolosa. Vasi dichiaratamente a forma di papavero sono i famosi vasetti ciprioti detti bilbil, trovati a Tell Abu Zureiq e in altre località costiere del levante mediterraneo, risalenti al Bronzo Recente 1500-1200 a.C. (E. ANATI , 1952; P.M. PADOVANI, 1982).
Una significativa statuetta ieratica con le mani in preghiera e diadema sormontato da tre capsule di papavero è stata trovata a Ghazi (Museo di Heraklion, Creta. 1400-1200 a.C.). Sarà interessante notare che sia in relazione ai bilbil, alla statuetta di Ghazi e alle stele daunie vi sono richiami ai volatili, gli universali indicatori del volo e della transe. Pare che le virtù o la bellezza dei fiori del papavero fossero sfruttate persino nel Paleolitico Superiore, a Cro-Magnon sono state trovate capsule fossilizzate in relazione a sepoltura.
All’età del Rame, invece, risalgono gli scettri-papavero di rame, recuperati nella grotta del tesoro a Nahal Mishmar in Israele (P. BAR-ADON, 1980). In ambiente greco il papavero sonnifero è uno degli attributi di Demetra, lo ritroviamo su un rilievo di terracotta della Collezione Campana e su un’ara di Villa Albani, come probabilmente su un vaso apulo in cui Dionisos, dio dell’estasi mistica e della guarigione, è incoronato da un diadema di papaveri (Museo Archeologico di Taranto).
CARATTERISTICHE VEGETALI ED EFFETTI DEL PAPAVERO DA OPPIO
Il Papaver Somniferum gigante ha un fusto che può raggiungere l’altezza di un metro e mezzo. Ha una capsula sferica, grande anche quanto un’arancia, dalla quale notoriamente si estrae l’oppio ricco di alcaloidi come: morfina, narcotina, codeina, eroina ecc.. Le qualità naturali della droga, dalla storia più lunga e controversa, sono eccezionali per intervenire chirurgicamente ottundendo il dolore fisico. Pur se il cervello produce le endorfine, le oppiacee del corpo umano, la morfina è insostituibile per lenire i dolori più forti, mentre l’eroina cancella la paura ed induce al coraggio. L’oppio da sé, non è da meno pertanto è facile immaginare quanti poteri magici gli si attribuirono.
Possiamo tentare di farci un’idea della sua importanza quando le cure mediche erano alla mercé della fito-pranoterapia. Il suo narcotico poteva far guarire chi soffriva ma poteva anche ispirare visioni rivelatrici ai delegati alla divinazione. Terapeuti, sciamani e sacerdoti furono i primi ad utilizzare oppio e psicotropi iniziando anche il profano al mondo sommerso della percezione extrasensoriale. I Dauni sicuramente conobbero e valorizzarono ogni proprietà della droga, la cui dipendenza dovette essere sapientemente manovrata dalla casta sacerdotale, riconoscibile nelle stele femminili che ne sfruttò a suo vantaggio il monopolio e la gestione. E forse non solo in senso esoterico e religioso ma anche politico ed economico, dal momento che nelle scene s’individuano categorie sociali e specializzazione dei ruoli. Così i kimbala-papavero, insieme alla veste talare e ad altri elementi, rappresentano lo status-symbol della casta a cui si votavano i monumenti che forse ritraevano una divinità protettrice o la grande sacerdotessa del sistema ierocratico.
CHI ERANO LE ENTITA’ RAFFIGURATE SULLE STELE ?
Dea, sacerdotessa, sciamana o curandera, lei ed i suoi adepti traspaiono nell’iconografia che la riguarda, ossia il mondo del papavero e tutte le implicazioni magiche, divinatorie e terapeutiche che ne derivano. Sono diverse le scene in cui v’è l’offerta di una bevanda ad un personaggio seduto che appare agitato, oppure situazioni di stati allucinatori in cui il soggetto è circondato da animali mostruosi. Degna di un largo campo d’influenze la Signora stele era qualcosa di più complesso dell’entità armata, la sua investitura sembra avere qualche influenza sulle competenze maschili; dal momento che si identifica attraverso il vegetale, lei ne fa offerta al guerriero, o al cacciatore, in due rarissimi casi di figurazione vascolare.
Nel frammento ceramico di Salapia una donna con un lungo abito è di fronte ad un guerriero armato di spada, nell’atto di offrirgli un vegetale, dietro la donna c’è una pianta di papavero gigante, vagamente antropomorfa, mentre dietro al guerriero vi sono due cavalieri armati di lancia, come sulle stele maschili. E’ possibile, dunque, riconoscere nei due personaggi centrali la personificazione della stele maschile e femminile in relazione alle sfere d’influenza su cui agiscono: i cacciatori o i guerrieri a destra, il papavero a sinistra.
Così le stele armate rifletterebbero, attraverso l’enfasi antropomorfa del guerriero, la celebrazione del mondo virile, eroico, della guerra e della caccia, mentre le stele con veste cerimoniale, fregiate di amuleti dalla forma di capsula di papavero, sembrano celebrare una casta eletta di adepti, le cui competenze comprenderebbero la mantica e la taumaturgia. I cerchi con i quali veniva siglata la stele, erano una metafora delle facoltà della sacerdotessa o dea capace di dar potere alla pianta a lei sacra. A questo proposito è il caso di esaminare un altro singolare frammento di vaso dipinto, trovato in un ipogeo del IV sec. a. C. a Herdoniae, città daunia dell’interno.
Gli stessi personaggi del frammento di Salapia qui sono rappresentati nello schema di una simbolica ierogamia, la donna però ha la testa grande e rotonda ed il suo corpo filiforme sembra avere delle foglie, evidentemente lei stessa fviene identificata con la pianta di appartenenza e in quanto è impiantata nella terra; il suo sposo invece ha in mano tre lance, un chiaro collegamento con i cacciatori ritratti sulle stele maschili. Forse, insieme, personificano le due entità principali del pantheon daunio, se non i massimi rappresentanti della società di allora. Ad ogno modo, determinando le sfere delle loro competenze e, con il gesto della donazione, testimoniano la comunione di due mondi diversi ma anche complementari.
Maria Laura Leone
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