Quest”anno 2001 è stato finora vissuto con grande intensità di confronti inerenti la paleoastronomia. Parrà strano che io – dopo aver partecipato alla fondazione di una associazione che è improntata agli studi di ”archeoastronomia” – sia a proporre il termine ”paleoastronomia”. Ciò è frutto di una evoluzione avvenuta sul campo. [nggallery id=40]Nel corso del Congresso Internazionale INSAP III (The Inspiration of Astronomical Phenomena) tenutosi a Palermo dal 31.12.2000 al 06.01.2001 il prof. Maurizio Tosi dell”Università di Bologna ha affermato che l”archeoastronomia non esiste, in quanto è stata una emanazione del potere sacerdotale. Nella raccolta degli Abstracts non era disponibile il sunto dell”intervento, a titolo ”Stars, space, time in evolving prehistorical human societies”- in quanto ”Abstract not available”.
Quasi in risposta a questa tesi di ispirazione marxiana avveniva la Conferenza Internazionale ”Cosmology Through Time – Ancient and Modern Cosmologies in the Mediterranean Area” organizzata presso l”Osservatorio di Monte Porzio Catone – dal 17 al 20 giugno 2001, ove sono convenuti anche numerosi studiosi di paesi arabi ed islamici, in un contesto ben lontano dalla suddetta tesi di ispirazione marxiana.
Un richiamo di quanto è avvenuto in Italia durante INSAP III è stato effettuato nel corso del 7th Annual Meeting della European Association of Archaeologists (E.A.A.) tenutosi a Esslingen am Neckar dal 19 al 23 settembre 2001, nella sessione ”Astronomy, materialità and changing landscapes” da parte del prof. Stanislaw Iwaniszewski, della Escuela Nacional de Antropologia e Historia di Mexico City e dello State Archaeological Museum di Varsavia, nel corso di una relazione a titolo ”Landscapes and astronomies”.
Sempre nel mese di settembre, nei giorni 28 e 29, si è tenuto a Padova, presso l”Osservatorio Astronomico, il 1° Convegno Nazionale di Archoastronomia, Storia dell”Astronomia antica e Astronomia Storica, organizzato dalla neonata Associazione Italiana di Archeoastronomia (S.I.A.) avente sede presso l”Osservatorio di Brera. Fra i fondatori il prof. Edoardo Proverbio, già ordinario di Astronomia presso l”Università di Cagliari, eletto presidente dell”associazione, ed il prof. Giuliano Romano, già professore di Storia dell”Astronomia presso l”Università di Padova. Nell”art. 3 dello Statuto sono indicate le seguenti finalità:
– promozione degli studi sulla Storia dell”Astronomia Antica, della Archeoastronomia, della
Astronomia culturale e della Astronomia Storica.
Fra i compiti dell”associazione, avente fra i fondatori alcuni accademici dei Lincei, la pubblicazione della ”Rivista Italiana di Archeoastronomia” definita ”la prima in Italia, di carattere altamente scientifico”.
Durante il convegno vi è stato un intervento del prof. Romano in cui lo stesso ha affermato che una delle condizioni necessarie per poter parlare di è la presenza, nel contesto culturale esaminato, del numero e quindi inequivocabilmente della scrittura.
Nel depliant illustrativo della neonata associazione sono stati elencati i temi di interesse archeoastronomico finora trattati da studiosi italiani e stranieri, quali:
– i calendari della civiltà Maya;
– i calendari di civiltà mediterranee;
– l”orientamento del Sole e della Luna nell”architettura della Cultura Chaco del Nuovo Mexico e nelle chiese cristiane medievali;
– l”orientamento delle necropoli e dei monumenti emersi dagli scavi archeologici;
– il grande monumento megalitico di Stonhenge, in Inghilterra;
– i riferimenti astronomici sui tumuli preistorici;
– gli orologi solari nell”antichità e in età medievale;
– i segni zodiacali raffigurati in sculture e mosaici antichi; il simbolismo cosmico;
– la divisione agraria nell”antichità, feste e culti connessi con gli astri;
– i riferimenti astronomici in monumenti megalitici preistorici: tombe, monumenti culturali, sistemi di menhir, orientamenti astronomici in reperti naturali.
Preso atto di questa esemplificazione e di quanto detto dal prof. Romano, emerge una necessità di chiarimento circa le tendenze evolutive in atto. Esaminando l”art.3 dello Statuto S.A.I. emerge che si intende fare differenziazione fra la Astronomia antica e l”Archeoastronomia mentre dall”intervento del prof. Romano emerge che si può parlare di archeoastronomia solo in presenza della scrittura.
I due richiami semantici sono pertanto chiari e conseguenti l”uno all”altro.
Sembra che l”attacco sferrato dal prof. Tosi non abbia sortito l”effetto totalizzante di far chiudere la attività della neonata associazione, ma abbia sortito l”effetto di far capire che quando si parla di archeoastronomia si deve ridurne il campo di azione a fenomeni in cui appare già la scrittura.
Questo può essere interpretato come necessità di differenziazione fra l”archeoastronomia e la paleoastronomia, allo stesso modo di come in archeologia si differenzia la protostoria dalla preistoria. A parte il fatto di dover riformulare le definizioni finora coniate dai vari autori per l”archeoastronomia, trasferendole alla Paleoastronomia, o, come proposto dalla S.I.A. alla ciò è molto interessante, e potrebbe giovare in futuro, in quanto favorisce la separazione fra i cultori del mero calcolo numerico e quindi delle misurazioni fatte con la bussola o meglio condotte con il teodolite e con l”orologio astronomico, ed i cultori delle osservazioni dirette dei fenomeni di orizzonte, così come dovevano avvenire, ancora prima della scoperta della scrittura, da parte delle popolazioni tribali dedite allo shamanismo.
E” chiaro che, per tentare di ricostruire gli scenari così come apparivano in passato, con le differenze dovute alla precessione degli equinozi, ci si dovrà giovare degli ultimi programmi di calcolo computerizzato, che consentono oggi di ricostruire i fenomeni celesti a ritroso nel tempo, con sufficiente approssimazione, in relazione alla grossolanità degli strumenti allora utilizzati (gnomoni costituiti da pali in legno, menhir, megaliti, cime di monti, speroni di roccia, selle nella sky-line ecc.). E” opportuno riferire in proposito che fino all”anno scorso, da parte dei cultori italiani della materia, si diffidava dell”utilizzo di tali programmi per periodi anteriori al 4 000 a.C., mentre da parte di studiosi stranieri si accettavano le elaborazioni dei migliori fra tali programmi fino al decimo millennio avanti Cristo.
Già nel XVI Valcamonica Symposium – 1998 il dr. Michael Rappenglück aveva creato grande stupore presentando lo studio delle raffigurazioni del Pozzo di Lascaux come rappresentazione della cosmovisione al solstizio d”estate del 16 5000 a.C., mediante l”utilizzo di un programma computerizzato, specificamente preparato per quel periodo di tempo da parte del Dipartimento di Storia delle Scienze Naturali della Facoltà di Matematica e Scienze Informatiche dell”Università Ludwig Maximilians di Monaco di Baviera (senza con questo aver dato luogo alla creazione di un programma continuo di lettura dei fenomeni celesti fino a quel periodo).
Nel XVIII Valcamonica Symposium – 2000 la dr.ssa Chantal Jegues-Wolkiewiez presentava la comunicazione a titolo ”Lascaux : vision du ciel des Magdaleniens” in cui trattava lo stesso identico argomento, riferendolo al periodo delimitato dalle due date, calcolate con il radiocarbonio 14, del 15 516 +/- 900 e del 17 190 +/- 140 BP (Before Present) corrispondente cioè, nella massima estensione, al periodo indicato in precedenza dallo studioso tedesco.
Si noti come nella numerosa bibliografia citata dalla studiosa francese non sia presente il nome di quello studioso, il che fa presupporre che ella non abbia voluto seguirne la traccia, invocando una autonomia di ricerca che suona come ulteriore credibilità dell”analisi, risultato comune, stupendo, esplosivo, incompreso (e inaspettato nell”attuale panorama culturale) di due diverse scuole di pensiero legate – lo dovremo dire d”ora in poi – alla (e non più alla archeoastronomia)! Da tutto ciò sembra emergere il timore o la repulsione, da parte di alcuni studiosi della materia, ad addentrarsi nei meandri delle etnoscienze (discipline prive di geometria e quindi di certezze), necessarie per capire i collegamenti delle varie cosmogonie e cosmologie con i monumenti megalitici, letti questi nella loro più ampia significatività semantica. Si veda in proposito la disputa sul termine che, come si vuole in archeologia, dovrebbe indicare soltanto manifestazione della religione delle sepolture collettive in strutture dolmeniche.
Per capire meglio è utile leggere la definizione riportata nel ”Dizionario di Preistoria” (opera diretta da Leroi-Gourhan):
”dolmen – Termine inesatto derivato dalla lingua bretone, dove indica in modo impreciso tutto ciò che comporta una o più lastre di pietra, la parola designa comunemente una camera funeraria coperta con elementi megalitici.Questo termine è tuttavia soprattutto riferito ai monumenti provvisti di una lastra unica. Più o meno accuratamente lastricato, provvisto di un accesso e costruito generalmente sotto un tumulo di terra o di pietre, il dolmen è destinato ad ospitare una sepoltura collettiva”.
La nostra esperienza di survey ci fa capire che esistono strutture dolmeniche orientate che non potevano essere sepolture collettive, o perché collocate a fianco di una grande pietra ad uovo, spezzata a metà ed orientata a 180° come la bisettrice della struttura dolmenica (Meridiana di Monte Grosso – Cinque Terre – La Spezia) o perché in passato attraversate da un rivolo d”acqua (Struttura dolmenica di Codina di Lerici, con bisettrice orientata a 178°) o perché posizionate in ripidi pendii o perché troppo piccole per essere sepolture collettive, esempi questi che possono indicare soltanto un collegamento con la cosmogonia della direzione di origine della vita.
Questa lettura è confortata dalla constatazione della direzione del flusso del campo magnetico da Nord a Sud, dalle credenze delle popolazioni nomadi eurasiatiche per cui gli spiriti si formano nelle costellazioni circumpolari settentrionali (tema della costellazione-generatrice) e dalle loro tradizioni per cui la posizione della porta della tenda (la gheer) è sempre messa a sud, ed il capo famiglia o lo shamano stanno sempre seduti nella direzione del nord.
Questa esigenza di differenziazione, realizzabile tramite la specializzazione, dovrebbe far cessare le tensioni fra i due gruppi di studiosi, che emergono sempre nei comitati scientifici, quando si devono valutare i diversi apporti. Essendo la maggioranza degli studiosi di configurazione razionalista o marxiana o atea, vengono sempre penalizzati i lavori che hanno una qualche attinenza con la spiritualità dell”uomo preistorico, lo shamanismo, la magia, le conoscenze esoteriche, le percezioni frequenziali delle interazioni fra geo-masse e bio-masse (queste ultime così come emergono dalle raffigurazioni dell”altare VI.A.66 di Çatal Höyük del 5 800 a.C., mai pubblicato per intero in Italia).
Ne è esempio probante la vicenda della scoperta dell”ipogeo a pianta rettangolare di ”Sas Concas” in Barbagia. In questo ipogeo, scavato nella trachite, è rappresentato un vero e proprio catechismo shamanico, con all”interno la rappresentazione della linea di demarcazione fra il cielo e la terra, dello shamano, delle costellazioni Ursa Major, Cassiopea e Gemini, della stella Arturo, della farfalla (animale psicopompo per il ritorno alla costellazione-generatrice dopo la morte) e delle monadi che attraversano la suddetta linea di demarcazione fra il cielo e la terra (e che divengono antropomorfi generanti e poi si smembrano nella morte) ed all”esterno la rappresentazione delle costellazioni Ursa Major, Cassiopea e Draco e la rappresentazione di nove coppelle in linea.
Sia gli studiosi di archeologia sia le Sovrintendenze Archeologiche della Sardegna hanno datato questa grande rappresentazione al 2 700 a.C. , ma hanno evitato di definirne il valore semantico. Si legga in proposito quanto riportato nella rivista ”Archeologia Viva” n. 66 del Novembre/Dicembre 1997 nell”articolo a firma di Maria Ausilia Fadda della Soprintendenza Archeologica di Sassari e Nuoro, a titolo ”Monumenti del Nuorese”, sottotitolo ”Necropoli di Sas Concas”: .
Proprio la – in simbiosi con lo shamanismo e con l”utilizzo del programma computerizzato ”Guide – Versione 7.0 – Project Pluto” – ha consentito di leggere la strana raffigurazione, rappresentata in un angolo dell”ipogeo, della costellazione Ursa Major, fatta di quattro coppelle su un lato dell”ipogeo e di due coppelle sull”altro lato, come un caso particolare di cosmovisione. Esplorando così le cosmovisioni più significative della religione frequenziale shamanica (passaggi in anti-meridiano di stelle o costellazioni ai solstizi e agli equinozi) relative alle coordinate geografiche del sito, si è scoperto che alla mezzanotte del solstizio d”inverno dell”anno 2 700 a.C. era visibile la costellazione dell”Orsa Maggiore proprio tagliata a metà dalla linea dello Zenith e del Nord!
Tutto ciò dava conferma all”ipotesi di lettura shamanica del contesto. Per una maggior conferma si è compiuta una ulteriore visita sul sito per verificare se nella costruzione dell”ipogeo si fossero orientati i quattro lati della costruzione secondo i punti cardinali, ovvero secondo la tradizione del templum, tradizione dominante che avrebbe conferito minore probabilità di attribuzione o invece si fosse collocato a nord lo spigolo che determinava la vistosa raffigurazione della costellazione U.Ma.. Il riscontro è stato perfetto, perché la linea dello spigolo giace in direzione del Nord, così come definito dall”uso della bussola (all”interno non è possibile fare uso del teodolite).
La riuscita di questo inquadramento culturale, presentata a Palermo durante INSAP III, non sarebbe stata possibile attenendosi al campo di azione della sola archeoastronomia.
E auspicabile che una dichiarata scelta di campo fra gli studiosi, senza precludere ad alcuno di estendere le proprie indagini nell”altro campo, porti a far cadere le diffidenze reciproche all”interno del settore e contemporaneamente aiuti a cancellare le preclusioni che gli studiosi delle altre discipline nutrono verso chi studia gli astri, che, anche se proprio non vengono confusi con chi prepara oroscopi, vengono troppo spesso incolpati di far quadrare i calcoli astronomici secondo le loro esigenze.
(ENRICO CALZOLARI)
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