Le ricerche del Gruppo Archeologico “Ibla Erea” di Piazza Armerina (Enna), hanno prodotto importanti ritrovamenti preistorici non solo nei pressi di Montagna di Marzo, ma anche in tutto il territorio di Piazza. Pertanto è il caso di ricordare che in questa provincia esistono alcune contrade di grande interesse – oltre a Monte Manganello e Cozzo Comune – come Cozzo Rametta, la stessa Montagna di Marzo, Balatella, Monte Navone, Malocristiano, Geraci, Bellia, Casalotto, Ramata e Fargione. Oltre alla ben nota presenza di epoca Classica, la presenza umana qui testimoniata risale persino al Mesolitico (Ramata), per giungere all’Età del Bronzo (gli altri siti). Di tale presenza vengono accennati elementi di vita e sistemi sociali deducibili.[nggallery id=37]Fino a pochi anni addietro, nell”immaginario collettivo degli abitanti del territorio di Piazza Armerina, non c”era posto per la preistoria dato che l”archeologia dei luoghi era intrisa di grecità e di romanità a causa dei ritrovamenti della Villa romana del Casale e dell”anonima città sepolta di Montagna di Marzo. Vi era stato qualche timido cenno, negli anni ”60 e ”80, ad opera di qualche studioso(1) , ma in quel tempo si era pervasi solo dalla febbre dell”archeologia classica. Si doveva attendere la fine del millennio perché si risvegliasse la curiosità e l”interesse per le remote e ancora misteriose ere preistoriche.
Le prime ricerche sulla preistoria del nostro territorio, che non ha ovviamente i precisi confini comunali, sono state avviate nel 1998 allorquando alcuni soci(2) del Gruppo Archeologico ”Ibla Erea” di Piazza, si sono imbattuti, durante un”escursione non propriamente archeologica, in alcuni frammenti fittili antichi nei pressi di Monte Manganello a occidente della città. La casuale scoperta e le successive e sistematiche esplorazioni hanno consentito di definire in maniera più precisa l”estensione del sito e l”epoca di riferimento, nonché di effettuare una campagna regolare di scavo da parte della Soprintendenza Archeologica di Enna nell”estate del 2000.
Il Gruppo Archeologico, infervorato dalla prima scoperta, ha proceduto a scandagliare il territorio con occhi nuovi e così ha avuto la ventura di scoprire che tutto il circondario di Piazza Armerina nasconde inediti misteri preistorici. È appena il caso di ricordare alcune contrade di grande interesse – oltre a Monte Manganello e Cozzo Comune – come Cozzo Rametta, la stessa Montagna di Marzo, Balatella, Monte Navone, Malocristiano, Geraci, Bellia, Casalotto, Ramata e Fargione.
In queste contrade sono stati osservati significativi frammenti che vanno dal Mesolitico (Ramata) fino all”Età del Bronzo (gli altri siti).
Sistema insediativo in Sicilia dagli albori all”età protostorica
Le catene montuose della Sicilia erano rivestita da querce e aceri e le foreste erano abitate da cavalli, cinghiali e cervi. Nel Paleolitico viveva l”elefante nano e l”ippopotamo. Di quel paesaggio lussureggiante e di quell”ambiente naturale oggi non rimane quasi nulla. Una timida idea possiamo farcela nel territorio dei Nebrodi o dei Monti Erei anche se buona parte della foresta che conosciamo è stata creata dall”uomo moderno. Per l”uomo di quelle antiche ere il paesaggio era incommensurabile e sovrastava la sua statura condizionandone fortemente la vita di ogni giorno. L”uomo era costretto ad utilizzare gli spazi che l”ambiente gli forniva e quindi egli abitava nei ripari e nelle grotte naturali.
È possibile seguire i percorsi dell”uomo siciliano nel Paleolitico e nel mesolitico, i paesaggi della caccia, della pesca, della raccolta dei frutti e dei molluschi. Basta fare una escursione nella Riserva dello Zingaro per notare nella Grotta dell”Uzzo, ancora, i resti e le tracce del passaggio dell”uomo e della sua permanenza(3) . Ma altri casi si possono trovare nel resto dell”isola compreso nel nostro territorio (vedi l”industria litica di contrada Ramata e tutte le grotte che si estendono da Pergusa fino ad Enna). Anche tracce artistiche sono state lasciate dall”uomo specie nella parte occidentale dell”isola a testimoniare una quotidianità tormentata dove le paure e le angosce per la sopravvivenza segnavano profondamente il suo difficile cammino.
Ma già nel Neolitico (5.700-3.300 a.C.) il paesaggio è mutato e non sovrasta quasi più l”uomo il quale ha imparato a conoscerlo e a controllarlo, addirittura a trasformarlo.
Le comunità umane diventano sempre più grandi e i primi villaggi testimoniano l”opera di familiarizzazione operata sulla natura dove i bisogni sono meglio soddisfatti con l”introduzione dell”allevamento e dell”agricoltura. Nella Sicilia occidentale l”uomo continua ad abitare le grotte mentre nella zona centrale e sud-orientale, accanto ai corsi d”acqua, realizza i primi villaggi capannicoli, talvolta fortificati, consolidando così una sedentarietà ormai definitivamente acquisita.
Con la scoperta dei metalli, il rame nel periodo eneolitico e poi il bronzo che è una lega di rame e stagno, un”orma inconfondibile ed indelebile verrà impressa al paesaggio siciliano poiché l”uomo, sarà capace di autodeterminarsi, di avere consapevolezza sia della vita come della morte.
Le semplici sepolture di un tempo diventano ora sepolcri e talvolta mausolei intagliando la roccia o scavandola a forma di grotticella a forno.
La ceramica, prima semplicemente decorata a tratti o disegni incisi a crudo, ora diventano linee e intrecci dipinti su fondo rosso. In tal modo si evidenziano gl”influssi della cultura egeo-anatolica che giunge fino ai nostri territori. I villaggi negli Iblei caratterizzano il paesaggio delle cave(4) , strette e fonde vallate scavate da torrenti, ma anche nel territorio dei Monti Erei i villaggi eneolitici sorgono nelle vicinanze dei corsi d”acqua seppure in posizioni strategiche, su pianori elevati, trattandosi di villaggi estesi e dunque con maggiore necessità di organizzazione della difesa. I villaggi cominciano ad assumere un carattere protourbano specialmente nella media e tarda età del Bronzo e dunque si doteranno di fortificazioni e complesse strutture difensive sia naturali che artificiali. Ricordiamo i villaggi di Monte Manganello e Cozzo Rametta in posizioni elevate di alta collina, ma ricchi di sorgenti e prossimi ai corsi d”acqua del Vallone Cannella e del Fiume di Giozzo. Le vie fluviali costituiscono già una importanza fondamentale per i commerci e le comunicazioni e, in definitiva, per la sopravvivenza stessa degli insediamenti.
Produzione del cibo e sostentamento
Da vari indizi l”uomo preistorico del nostro territorio è passato attraverso la fase dell”uomo cacciatore e raccoglitore, ma l”investigazione di questa condizione non è facile a causa della mancata esplorazione scientifica delle caverne dell”interno della Sicilia, non numerose ma sufficientemente presenti. Avere osservato un”industria litica soprattutto quarzarenitica, con scheggiature molto grossolane, specialmente in Contrada Fargione (comune di Aidone) e pure in Contrada Ramata (territorio a sud-est del lago Pergusa, ma in comune di Piazza Armerina), farebbe pensare alla presenza dell”uomo fin dal Paleolitico Superiore(5) o dal Mesolitico e dunque in epoche in cui il sostentamento era soddisfatto più di tutto dalla caccia. Ma le genti neolitiche continuarono per lunghi anni a praticare la caccia di piccoli animali e la raccolta dei frutti dato che le tecniche agricole erano ancora troppo primitive per garantire da sole la sopravvivenza del villaggio.
Poco o nulla allo stato attuale si conosce della produzione di cibo nel periodo neolitico nei nostri luoghi, mentre maggiori informazioni sono state acquisite recentemente per l”Età del Rame e del Bronzo. L”agricoltura era già conosciuta, ma essa era ciclica e itinerante: i coltivi non venivano ruotati, non si conosceva la concimazione e la terra si esauriva rapidamente. Spesso le foreste venivano abbattute per utilizzare, dissodandoli i nuovi terreni.
I campi a volte potevano trovarsi a tale distanza dal villaggio da rendere necessario perfino l”abbandono del villaggio stesso per ricostruirlo altrove. Il paesaggio, specie nelle aree più densamente popolate, divenne in qualche misura artificiale, cioè adattato ai bisogni dell”uomo.
A Monte Manganello in frammenti di pisé(6) rinvenuti, accanto a inclusioni vegetali (foglie, fuscelli di paglia, fili d”erba, ecc.), sono stati osservati anche semi di farro. I frammenti ossei osservati sono simili a quelli degli ovini (oltre che di canidi). Inoltre sono state rinvenute alcune fuseruole o frammenti di esse sia a Manganello che a Cozzo Rametta.
È facile concludere che nel corso del IV millennio si sia verificata, qui come in altri luoghi, una rivoluzione: gli animali vengono allevati come produttori di latte, di carne e di lana. Va riferito che nell’Aprile 2000 sono state scoperte(7) nell’alto ennese, a Troina, le fondazioni di una fattoria databile tra il Neolitico finale e l’Eneolitico. La grande capanna misura 10 m. x 12 ed era costruita con pietre, argilla e paglia; il tetto di robusti tronchi d’albero era coperto con canne e foglie. Sono state rinvenute una grandissima quantità di ossa (oltre 1700) di bovini, ovini e suini nonché moltissimi semi (fave, piselli, lenticchie e farro). Le tracce di flora e di fauna sono state dimostrate con analisi micromorfologiche e la datazione con esami radioisotopici e di termoluminescenza. Dentro la capanna sono stati rinvenuti alcuni vasi tra cui uno con minuscoli forellini sulla sommità. Evidentemente il latte veniva bollito e i pastori ne ricavavano formaggio.
La ceramica trovata lì ha una affinità con quella osservata nel nostro territorio(8) a Manganello, Rametta, Malocristiano e Fargione. Dunque la vita procedeva con le stesse modalità un po’ dovunque in Sicilia nello stesso periodo. Anche al villaggio di Monte Manganello nei pressi di Piazza Armerina, tra le altre, è stata scoperta(9) una capanna, rimasta sigillata da un’alluvione, nel cui interno sono stati rinvenuti vasi integri vicino al focolare, contenitori che servivano per le derrate alimentari e altri oggetti di uso sconosciuto. Parecchi frammenti di macina di basalto e la presenza di materiali organici e di cereali dimostrano una attività agricola e pastorale.
Ma fu davvero un vantaggio la pratica agricola?
Per sopperire all’aumento demografico fu un beneficio, potendo disporre di maggiori quantità di cibo, tuttavia, secondo studi antropologici (Claude Lèvi-Strauss) pare che l’agricoltura non abbia rappresentato un progresso, ma un regresso: infatti gli antichi uomini del paleolitico, cacciatori e raccoglitori, possedevano una vasta conoscenza dell’ambiente naturale e conoscevano almeno un migliaio di piante commestibili. Con l’abbandono del nomadismo e l’avvento della sedentarietà, gli uomini si concentrarono, con la pratica agricola, su poche decine di piante ad alta resa calorica, mentre trascurarono (e dimenticarono) sempre più la variabilità dei principî nutritivi. Inoltre si esponevano alle bizzarrie meteorologiche e quindi alle carestie.
Artigianato
L’artigianato si concretava anzitutto nella filatura della lana e nella sua tessitura, dimostrata dalla presenza di frammenti di fuseruole fittili (rinvenute sia Manganello che a Rametta), ma è possibile che vi sia stata, come altrove nello stesso periodo, l’attività di intreccio di vimini per ceste e canestri, l’uso di tendini di animali per intrecci e cordami, immanicature, stuoie, otri e indumenti di pelle, ecc.
La fabbrica di armi e strumenti era ovviamente una delle maggiori attività di artigianato. In tutti i siti preistorici del circondario di Piazza Armerina, finora scoperti e studiati dal nostro gruppo di lavoro(10) , sono stati rinvenuti diversi frammenti litici in selce, quarzarenite, ossidiana e basalto che sono stati identificati come tranchets, bulini, punte, lame, raschiatoi, asce, macine, percussori, ecc. La presenza di una grande quantità di selce(11) affiorante a Cozzo Rametta e meno a Manganello, insieme a frammenti fittili e basaltici, fa pensare come le influenze culturali e il commercio, pur in tempi così difficili, fossero fiorenti. In contrada Ramata i frammenti osservati in superficie e in prossimità di alcune grotte sono soltanto di tipo litico: strumenti su scheggia di selce e quarzite oltre a svariati frammenti residui di lavorazione dei ciottoli.
È stata rinvenuta una notevole quantità di raschiatoi, punte e lame a dorso, grattatoi lunghi, un grosso ciottolo di quarzite con segni di percussione e una pietra da macina. Varia è la tipologia dei frammenti a cominciare dalla loro grandezza. Ad un primo esame l’industria litica di Ramata, sembra del tipo epigravettiano finale(12) , deponendo dunque per l’attribuzione al Mesolitico (9.500-6.200 a.C.).
Altra attività importante è quella della ceramica a cui si associa l’attività artistica. Si sa che la prima ceramica neolitica veniva creata modellando con le mani dei pani d’argilla per formare recipienti.
Talvolta la forma si otteneva a stampo su cesti di vimini oppure utilizzando lunghi grissini d’argilla sovrapposti e congiunti tra loro con la pressione delle dita. Non si può menzionare la ceramica neolitica impressa(13) poiché a tutt’oggi non è stata trovata alcuna traccia nei siti da noi scoperti, ma si spera che prima o poi, possa essere allacciato un legame cronologico con quella cultura. Si ha l’impressione, pure, che negli acrocori del centro Sicilia l’uomo si sia insediato in epoche molto remote (v. industria litica gravettiana di Ramata), eppure mancano dei siti o delle presenze tipiche che ci possano illuminare sulla continuità insediativa di popolazioni più antiche nei nostri territori.
Piuttosto è il caso di fare un cenno alla presenza di vasellame caratteristica sia dell’Età del Rame che dell’Età del Bronzo nei siti summenzionati (tranne Ramata, Bellia e Casalotto).
Dopo quella della cultura Stentinelliana(14) , la seconda ondata culturale in Sicilia è rappresentata dalla ceramica dipinta e lavorata a tornio, ma in questo caso bisogna cercare le radici altrove poiché il fenomeno interessa l’Asia Minore, la Grecia, l’Italia meridionale e quindi la Sicilia.
Nel periodo eneolitico o del Rame (dalla fine del IV alla fine del III millennio a.C.) le prime culture sono quelle di S. Cono-Piano Notaro e del Conzo (Eneolitico antico). Nei siti del territorio di Piazza Armerina, specialmente a Malocristiano, Manganello, Rametta e pure Fargione (comune di Aidone), le culture dominanti risultano quelle di Serraferlicchio (stazione nei pressi di Agrigento) e di Malpasso (sito nei pressi di Calascibetta) che rispettivamente coprono il periodo del Rame medio (2.800-2.500 a.C.) e quello dell’età tarda (2.500-2.200 a.C.).
Il vasellame dello stile di Serraferlicchio, di cui sono stati osservati vari frammenti, è caratterizzato da ceramica dipinta in nero opaco su fondo rosso vivo o violaceo, lucido. Quello dello stile di Malpasso si caratterizza con ceramica monocroma rossa. La successiva Età del Bronzo vede nascere la più conosciuta cultura siciliana che è quella di Castelluccio(15) , dal nome del villaggio neolitico a una ventina di chilometri da Noto. Essa caratterizza l’Età del Bronzo antico (2.200-1.400 a.C.) e la sua ceramica, senza entrare nelle distinzioni delle varie facies distribuite in Sicilia, si presenta meno grossolana della precedente età e a volte fine ed elegante. Essa, nei frammenti di Manganello e di Fargione, è dipinta con tratti lineari bruni o neri su fondo giallino o rossastro.
I motivi decorativi osservati sono molto ripetitivi e scarsamente variati: spesso sono a bande incrociate o a scacchiere. Nel 1998 a Manganello, affioranti in superficie (adiacente al luogo del rinvenimento capannicolo dell’estate 2000) furono ritrovati dal Gruppo Archeologico di Piazza Armerina la parte inferiore bruciacchiata di una ‘fruttiera’ a fondo rossastro ed altri frammenti con motivi geometrici a losanga e a strisce nere su fondo rossastro. Tutto ciò indica come gli elementi culturali, che appaiono paralleli con quelli dell’Elladico medio della Grecia continentale, o meglio con la cosiddetta ceramica ‘cappadocia’ dell’Anatolia centrale, si sono diffusi ed hanno contagiato le nostre popolazioni.
Il villaggio
La scelta del luogo ove doveva sorgere un villaggio preistorico eneolitico era fortemente condizionata. Anzitutto doveva rispondere a criteri di difesa. Vero è che i primi villaggi neolitici non erano per nulla difesi (vedi Capo Graziano costruito su un promontorio a mare) dato che quelle popolazioni erano abbastanza pacifiche, tuttavia l’arretramento nell’interno dell’Isola sulla spinta delle popolazioni sicule, provenienti dall’Italia meridionale, mutò l’atteggiamento delle genti indigene che preferirono non più rischiare conflitti inutili a vantaggio della convivenza pacifica e della sedentarietà acquisita.
Il luogo di costruzione del villaggio poteva essere un pianoro a mezza collina, naturalmente difeso da una o più parti da una scoscesa parete dal cui ciglio si potesse dominare e, artificialmente, con un muro ad aggere per scoraggiare un facile attacco dal suo lato più pianeggiante come nel caso del villaggio di Monte Manganello . Una volta scelto il punto esatto si procedeva a individuare la zona di costruzione delle capanne che in genere potevano sfruttare una zona rocciosa pianeggiante che servisse da fondazione e da pavimento.
Si sceglieva l’esposizione, in genere orientale per consentire di sfruttare meglio la luce del sole, e si delimitava il perimetro – circolare o rettangolare – con muretti a secco. Si cominciavano a fare dei fori nel pavimento roccioso per infiggere i pali che dovevano sorreggere la capanna e, quando lo scheletro di legno era completo, si intonacavano le pareti con un impasto di argilla e paglia, mentre il tetto poteva essere costituito da tronchi e da canne rivestite di frasche e/o di pelli. Se non si trovava un pavimento di roccia (come a Cozzo Matrice sulle colline di Pergusa), si procedeva a crearne uno di argilla e paglia e si livellava per bene. Poteva accadere che per cause naturali o talvolta per ragioni rituali, una o più capanne fosse attaccata dal fuoco. In tal caso, come è accaduto a Manganello o a Cozzo Rametta, tutta la struttura lignea veniva distrutta, mentre il battuto d’argilla e tutto l’intonaco subiva una certa cottura trasformandosi l’argilla cruda in terracotta.
Il ritrovamento di molti frammenti di questo grossolano intonaco, in tutto o in parte cotto (detto pisé, a somiglianza dell’identico impasto trovato in molte capanne dell’Africa magrebina), consente di individuare con buona approssimazione il villaggio di capanne. Circa il numero degli individui che formavano una comunità capannicola, dai dati in nostro possesso, non pare che il villaggio tipico fosse molto esteso, anche se quello di Monte Manganello è stato definito tra i più grandi della Sicilia. Vero è che le zone abitative lì osservate sono parecchie, ma non ci è dato (allo stato attuale) di considerarle tutte perfettamente coeve e integrate in villaggio unico. Si sa che una o più capanne distrutte per varie ragioni, venivano abbandonate per essere ricostruite altrove. In tal modo le comunità non dovevano superare i trenta o quaranta individui, pur non escludendo a priori nuclei abitativi maggiori. Questa ipotesi tiene conto soprattutto del fatto che la sopravvivenza di una comunità grande prevede un sistema organizzativo rigido e una produzione di beni certa, cosa che invece non era facile da garantire ogni giorno e per tutti i componenti. Inoltre bisogna considerare la necessità di produrre un surplus di beni che potessero servire per il baratto.
Nei nostri siti, oltre alle capanne, sono state individuate zone di fornaci e luoghi di culto come quello del recente scavo regolare di Manganello – sito sigillato da una provvidenziale (?) alluvione – dove, nei pressi del focolare, sono stati ritrovati, pressoché intatti, alcuni vasi tra cui un bacile rituale con tre corni fittili attaccati all’interno del corpo del vaso(17).
Dunque le genti dell’era dei metalli abitavano preferibilmente in capanne, ma, se era necessario, continuavano ad abitare anche in anfratti e caverne. A volte, con le capanne, potevano coesistere abitazioni addossate ad una parete rocciosa (sotto roccia) come probabilmente a Cozzo Rametta. Esse erano formate appoggiando alla parete una tettoia fatta di tronchi, rami e pelli. Non si esclude l’uso dell’argilla (avendone trovato le tracce) come intonaco pure di queste abitazioni. In altri casi sono state trovate tracce (Malocristiano) della presenza dell’uomo eneolitico e del bronzo, ma non è stato possibile (allo stato attuale) scorgere quelle delle capanne o dei ripari: o erano usate tende più o meno mobili oppure la zona andrà esplorata in futuro con maggiore sistematicità per cercare il luogo esatto del villaggio o di comprendere le ragioni di eventuali diversificazioni dei sistemi insediativi.
Riti e culti
Pochissimo si sa dei riti e dei culti di queste popolazioni. Avere trovato alle pendici di Cozzo Comune il menzionato bacile fittile con all’interno tre corni a forma di fallo farebbe pensare a un qualche culto legato alla fertilità, ma nulla ci autorizza ad azzardare certezze circa le credenze e i culti di quelle genti. A tutt’oggi non è stata trovata nel nostro territorio alcuna significativa testimonianza che potesse far immaginare un qualche riferimento cultuale tranne i suddetti corni nel bacile e qualche altro corno isolato che farebbe pensare ad un uso scaramantico. Certo i riti legati alla terra, all’alternanza delle stagioni, alle bizzarrie meteorologiche, all’attività dei vulcani e alle paure ancestrali del mistero esistenziale, dovevano aver prodotto già buona parte dei miti che saranno tramandati e poi sistematizzati nelle epoche più evolute.
Un culto ormai consolidato era quello dei morti. L’uomo dell’età dei metalli ha la coscienza della vita e della morte ed ha saputo collocare la dipartita come il momento del trapasso da una condizione difficile, ma certa, ad un’altra misteriosa. La sepoltura non testimonia solo il dolore per la perdita del defunto e il senso ineluttabile della morte, ma, (presenza nelle tombe di utensili, ornamenti, armi, ecc.) pure la credenza di un aldilà come dimensione religiosa.
A Monte Manganello e a Cozzo Comune ci siamo resi conto che le necropoli situate sulle pendici erano situate molto più in alto rispetto al villaggio quasi che i defunti vegliassero sulla comunità e la proteggessero. La tipologia della tomba è quella a grotticella artificiale a forno, come quella intatta della pendice est di Cozzo Comune ed altre simili, ma crollate e violate nelle vicinanze. Altri segni di sepoltura sono stati trovati nella fiancata occidentale di Monte Manganello. Il ritrovamento di frammenti di ossa umane testimoniano che i defunti venivano inumati e si sa, da altri coevi insediamenti, che la posizione del corpo era di tipo genu-pettorale o fetale. Accanto al corpo venivano posizionati oggetti appartenuti al defunto che lo accompagnassero durante il ‘viaggio’: ciotole, armi, ornamenti.
A Cozzo Comune è stato rinvenuto un macinello intriso di ocra il cui uso era collegato col culto dei morti in quanto la polvere, già nel Paleolitico, veniva cosparsa sul cranio del cadavere per motivi tuttora sconosciuti.
In conclusione, le genti delle età dei metalli erano organizzate in sistemi sociali sufficientemente regolati e tali da consentire la perpetrazione o la sopravvivenza dei gruppi mediante l’adozione di metodi costruttivi e abitativi adeguati alle condizioni climatiche e idrogeologiche dei luoghi. I comportamenti comunitari erano correlati a gerarchie e ruoli piuttosto rigidi che già costituivano la tradizione. L’uomo aveva la responsabilità della difesa e della produzione di beni che comportassero anche l’assenza per brevi periodi dal villaggio, si occupava dell’agricoltura e dell’allevamento pastorizio, della piccola caccia, della produzione casearia e della concia; produceva e riparava gli attrezzi e gli strumenti, costruiva le capanne e scavava i sepolcri. La donna, oltre al ruolo di madre, eseguiva piccole coltivazioni accanto al villaggio stesso e probabilmente si occupava della produzione ceramica; aiutava gli uomini nell’attività casearia. I ragazzi imparavano presto l’arte della sopravvivenza e, poiché le bocche da sfamare erano tante, presto dovevano decidere del loro futuro: restare e produrre nell’ambito della propria comunità oppure lasciare il villaggio. È evidente che ogni strumento ed oggetto poteva essere fabbricato in loco o provenire da luoghi relativamente lontani: vedi l’industria litica che, proprio per la mancanza di materie prime, doveva essere importata dai luoghi di produzione. La stessa cosa potrebbe dirsi per l’arte della ceramica, quando essa era costituita da forme e motivi decorativi molto simili o soppiantata da forme e motivi nuovi. Future ricerche e l’adozione di rigorosi metodi scientifici multidisciplinari potrebbero rendere una ulteriore messe di informazioni preziose per la conoscenza della vicenda esistenziale di quelle genti.
NOTE
(1)Dinu Adamesteanu, Ignazio Nigrelli (v. bibliografia).
(2)Lo scrivente insieme con il socio Ugo Adamo.
(3)Si nota, appena all”interno, una grande abbondanza di conchiglie di vario genere e ossa di piccoli animali, oltre a una discreta presenza di frammenti e schegge di selce.
(4)Famose quelle di Pantalica e di Cavagrande.
(5)É appena il caso di ricordare, tuttavia, che nell”Età del Rame si diffonde nell”industria litica la tecnica campignana che era ignota nel Neolitico, ma che perdurerà in Sicilia fino alla prima Età del Bronzo. Gli strumenti erano sbozzati grossolanamente e soprattutto erano costituiti da selce biancastra e opaca o da calcarenite. Caratteristici dell”industria campignana erano i tranchets, a volte di grandi dimensioni che costituivano delle vere asce silicee.
(6)Impasto d”argilla e paglia che costituiva il cosiddetto intonaco della capanna o del suo pavimento.
(7)C. Malone (New Hall, Cambridge), S. Stoddart (Magdalene College, Cambridge), A house in Sicilian hill.
(8)Tipo Serraferlicchio, Malpasso, Conzo.
(9)Scavo della Soprintendenza di Enna diretto dal Dott. Lorenzo Guzzardi nell’estate del 2000, dopo la segnalazione del Gruppo Archeologico ‘Ibla Erea’ di Piazza Armerina che ne ha fatto la scoperta e una serie di ricognizioni di superficie nel 1998.
(10)Il Gruppo Archeologico ‘Ibla Erea’ ha consegnato il 13 Ottobre 1998 alcuni frammenti di selce, alcuni manici di anfora di ceramica àcroma e un altro con segni di pittura rossastra, manici di ceramica dipinta rossastra, frammenti di olla dipinta rossa e altri con motivi geometrici a losanga o a strisce nere su fondo rossastro, alcuni frammenti di orli assottigliati, un ciottolo levigato con segni di consumo da percussione, una piccola ascia di basalto intera e un’altra piccolissima e sottile ascia di basalto, due asce spezzate e due frammenti dello stesso tipo, due pietre da macina, la parte inferiore di ‘fruttiera’ verniciata rossastra con iniziali segni di continuità per i manici, alcuni frammenti di pisè d’argilla. I frammenti sono in giacenza nel magazzino archeologico della Soprintendenza BB.CC. presso il Palazzo Trigona di Piazza Armerina.
(11)La selce non è di provenienza locale in quanto non si conoscono miniere o giacimenti nel centro Sicilia. A parte i pochi frammenti di nera ossidiana proveniente da Lipari o, meno probabilmente, da Pantelleria, la selce osservata doveva provenire dal ragusano e da altri luoghi più lontani in quanto i colori e la consistenza sono diversissimi.
(12)L’industria epigravettiana (da La Gravette, località della Francia dove fu descritta la prima volta) è tipica del Paleolitico Superiore (14.000-9.500 a.C.). Fanno parte di questa tipologia punte e lame a dorso battuto: cioè il margine laminare è fortemente ritoccato in modo da determinare una superficie frastagliata e piena di asperità. Con un bordo più spesso e uno più sottile si poteva disporre di un’efficace azione lacero-contundente. I frammenti sono stati esaminati dal Prof. Sebastiano Tusa nel maggio 2000.
(13)La ceramica impressa neolitica è decorata con impressioni a unghiate e con il margine delle conchiglie (impressioni cardiali, da Cardium, un mollusco marino).
(14)Cultura e periodo (5.000-4.500 a.C.) che vede l’affermarsi della società agro-pastorale neolitica in tutta la Sicilia e alle Eolie, caratterizzata dai villaggi trincerati e dalla ceramica incisa, impressa ed excisa con decorazione talora complessa ed elaborata.
(15)Periodo e cultura che interessa l’intera Sicilia (Eolie escluse) durante l’antica Età dei Bronzo (XXII-XV sec. a.C). Caratterizzata da una tipica ceramica dipinta con decorazioni geometriche e lineari in bruno su fondo rosso. Particolarmente integrata nell’ambiente collinare interno. Presenta tra gli elementi più tipici alcuni portelli tombali scolpiti a bassorilievi e gli ‘ossi a globuli’, oggetti dalla funzione indecifrabile (manici di pugnali o amuleti?).
(16)Meglio sarebbe dire di un sistema di villaggi distribuiti su vari livelli che vanno dalla sommità di Monte Manganello (m.851) fino alla cima di Cozzo Comune (m. 712) passando per la sella di congiunzione tra i due rilievi (m.669).
(17)Il vaso è stato giudicato eccezionale per la forma e la conformazione dei corni interni è chiaramente quella di tre falli. Un bacile somigliante, ma di epoca più tarda, l’abbiamo visto al Museo archeologico di Gela, ma lì i falli sono deposti all’interno e non attaccati.
(SEBASTIANO ARENA)
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